venerdì 19 ottobre 2007

DOLORE

Tra ieri e oggi due notizie mi sono cadute tra capo e collo, e hanno trasformato la mia gioia di vivere in un misto di ansia, gelo, tristezza e delusione verso una qualsivoglia fottuta "giustizia divina" secondo la quale non puoi aspettarti di restare impunito, che tu sia l'uomo più buono o il più figlio di puttana del creato.

Due giorni fa, un mio ex compagno delle superiori, amico e collega di mio fratello in una ditta sub-appaltata di specialisti tubisti/saldatori, è morto sul lavoro. Una trave d'acciaio lunga 5 metri e larga mezzo, del peso di 5 tonnellate, gli è crollata addosso da un'altezza di 70 metri, schiacciandolo a terra e uccidendolo sul colpo. Risultato: moglie incinta di 8 mesi e figlia di 2 anni e mezzo lasciati al loro destino. Complimenti alla ditta che fa lavorare i suoi in tutta sicurezza.

Ieri: il marito di una mia collega è morto dopo una brevissima e fulminante malattia (poche settimane a quanto mi hanno detto). Figli di 2 e 4 anni, e moglie, restati soli. Qui non c'è da fare del sarcasmo, le malattie fulminanti non sono colpa di nessuno. Solo di quella fottuta sorte che molti chiamano "Destino" e a cui io non ho mai creduto. Non lo farò mai.

Viene rabbia. Un'animosità nata dal dolore di una vita che si spezza senza motivo (come se ne esistessero di validi, tra l'altro) la quale, arrivati ad un certo punto, non ha più valore e che non significa più nulla, non fosse per il fatto che persone dipendenti nel modo più assoluto dalla tua vita vengono lasciate sole in un mondo infame, crudele, spietato.

No. Non ci voglio credere.

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