giovedì 31 agosto 2006

DEATH METAL

Eccazzo.
Il metal è dolore e il dolore si nutre di metal.

E' morto il 27 Agosto (non si sa perché o di cosa) il chitarrista grindcore messicano Jesse Pintado (in foto).

Militò nei Napalm Death dal 1989 (cioè dal disco Harmony Corruption - 1990) in sostituzione di Bill Steer che si unì invece ai Carcass, al 2004, anno della reunion con i Terrorizer.

Con questa band, nel 1989 scrisse un album grindcore fantastico che segnò l'inizio, per il grindcore mondiale, della discesa verso un pubblico più ampio, facilitando le cose ai chi venne dopo: World Downfall.
Nel 2006, proprio poche settimane fa, la band è tornata alla riscossa proponendo tra le sue fila anche Pete Sandoval (batteria nei Morbid Angel) e un nuovo lavoro; con il nuovo disco, Darker Days Ahead, pare ci abbiano grandemente presi per il culo, però. Anche perché, ripeto, Jesse Pintado non c'è più e tutte le aspettative di vederli dal vivo se ne vanno in culo. Doppia presa per il culo.

Comunque, il lutto nel mondo del grind è equiparabile, se non superiore, al dolore provato per la scomparsa quantomai improvvisa e inaspettata di Mieszko Talarczyk (Nasum, chitarre / 1974-2004), avvenuta durante lo tsunami del Dicembre di due anni fa.

Più indietro nel tempo, esattamente un anno fa (26 Agosto 2005) moriva anche Denis D'Amour, aka Piggy, chitarrista storico dei Voivod.

Ancora più indietro nel tempo, 8 Dicembre 2004, a Columbus, Ohio, sparano al chitarrista storico di Pantera e mente dei nuovi Damageplan (avventura post-Pantera durata, aihmé, troppo poco) Darrell Lance Abbott, aka Diamond "Dimebag" Darrell.

Ultimamente pare che si stiano liberando posti di lavoro per bravi chitarristi nel mondo del metal estremo, ma pare anche che porti sfiga suonarlo...

martedì 29 agosto 2006

HEAVY METAL KATORCIO

Tornato dalle ferie, lunghe, faticose e poco "feriose", mi ritrovo un bel discazzo di una band da me sempre amata e mai completamente assorbita (pochi che ho conosciuto sono riusciti in questo): si tratta dell'ultima fatica "Katòrz", arrivatomi da pochissimo, firmato VOIVOD.

Katòrz perché è il quattordicesimo lavoro (compreso tutto, anche i live) della band, anche se non si scrive così e loro lo sanno meglio di me, dato che l'han fatto apposta.

Il disco mi è ovviamente piaciuto molto, ritmiche come sempre molto spezzate, diverse, metal ma anche no, armonie dissonanti e chitarre spesse un metro e mezzo, Denìs Bélanger con una voce diversa dal solito ma sempre riconoscibilissima e molto acida, Michel Langevin con le sue grafiche da incubo e la batteria sempre presente in maniera massiccia, insostituibile, necessaria.

Purtroppo questo disco mi ha fatto tornare la tristezza, per la morte prematura di Denìs D'Amour, e allo stesso tempo mi ha convinto di vari e differenti fattori:

1. Jason Newsted è un grande bassista e persona di buon cuore, ha per i Voivod tutto il riconoscimento e il rispetto che si meritano; il primo per avergli dato la possibilità di riscattarsi con la band che più di tutti l'ha, nell'ordine, oppresso, illuso, tradito e poi infamato, dopo essersi serviti delle sue strepitose qualità di musicista e della sua bontà d'animo -i Metallica, per chi non avesse conoscenze di storia musicale recente-. Il secondo per il semplice fatto che i Voivod sono una delle più ignorate e incomprese formazioni della storia del metal se non, paradossalmente, una delle più influenti: da dove credete che provengano quelle folli stranezze nel sound dei Tool? E da dove pensate che arrivino le dissonanze magnetiche di band moderne e strepitose tipo gli Ephel Duath, tanto per fare un esempio di casa nostra pensando alla nuova generazione di "metal"?

2. Denis D'Amour è stato uno dei più geniali chitarristi del panorama musicale mondiale. Non sto parlando di tecnica o di bravura d'esecuzione (anche se pure qui faceva spavento); parlo di inventiva, fantasia, capacità d'improvvisazione, cambio di genere e di stile all'interno di una stessa canzone (in fondo lo dobbiamo soprattutto a lui se con un solo paio di canzoni dei Voivod una band "normale" ci farebbe un disco di dieci pezzi), insomma una gran conoscenza dello strumento e una forte passione per la musica contaminata. Ricordo che prima di andarsene D'Amour, è stato fatto in modo che alla band fosse lasciato a disposizione un quantitativo impressionante di musica già composta per chitarra e pre-registrata in formato mp3 su un hard disk; roba da scriverci ancora 3 dischi buoni, parole di Langevin.

3. L'anima dei Voivod non morità mai; finché resterà il cuore di D'Amour, il cervello di Langevin e la voce di Bélanger, la band resterà per sempre viva. Jason Newsted può essere solo di passaggio, è vero, ma in questo momento è lui l'uomo che ci voleva alla band per avere nuova linfa vitale, energia e rinnovata originalità.

4. Questa generazione di cazzoni heavy-metal ha un estremo bisogno di ascoltare Katorz.

giovedì 3 agosto 2006

SONO SOLO UNA COMPARSA SU CUI NON VEGLIA NESSUN DIO

Derek Raymond, al secolo Robin William Arthur Cook, venuto su tra il college di Eton e il castello di famiglia del Kent, si è sottratto prestissimo all'educazione borghese impartitagli forzatamente dai genitori, diventando invece un giramondo instancabile, lavoratore nei più disparati mestieri tra cui il trafficante di auto in Spagna, insegnante a New York e riciclatore di materiale pornografico in Italia e Francia. Più famoso per le sue opere, si capisce.

Questo a lato, Come Vivono I Morti, è il terzo capitolo della saga in cinque puntate sulla Factory londinese, in cui un sergente della A14, sezione Delitti Irrisolti, indaga su casi terrificanti con personaggi dall'anima di ghiaccio, intrisa di sangue e violenza.

In questo specifico capitolo, Derek Raymond racconta in chiave metafisica un noir poliziesco che è più una interrogazione sulla vita, su dove sta andando il mondo, su come vivono i morti (i diseredati, i poveri, i barboni, i miserabili e le vittime di violenze quotidiane, le persone che non accettano la propria vita e via dicendo) e su come il sergente della A14 percepisce il mondo attorno a sè. E' scritto in modo fantastico, profonde le sue descrizioni, commovente anche quando racconta di "angoli sbagliati dell'inverno" in cui case ammucchiate e fatiscenti fanno da teatro alla vita di famiglie devastate dal dolore, dalle cui grondaie cola "pioggia densa come lacrime di una vedova e la neve sporca infradicia il piazzale". E' un libro che resta dentro e colpisce a fondo, perché Raymond sa andare più a fondo di tutti. Un romanzo spietato, aspro, lucido sulla realtà violenta e nera di oggi da cui sgorgano momenti di splendida poesia narrativa, incorniciata dall'esperienza di vita dell'autore, delle cose che ha fatto, vissuto, visto, amato. Lui, il sergente, solo una comparsa per cui non veglia alcun dio, si chiede come si può sopportare il fatto che non si può avere giustizia per i derelitti della società fino a quando non sono morti. Si chiede cosa ce ne faremmo della giustizia e della logica senza la pietà umana. Si chiede se non ci sia omicidio peggiore che trovare in un androne il cadavere di qualcuno morto di freddo.
200 e passa pagine da cui io sono uscito svuotato, perso, ma rinnovato e amante della vita ancora più di prima, come un naufrago che lo può raccontare. E con un senso acuto di qualcosa che mi manca.