giovedì 19 giugno 2008

AVANTI COSI'

The Herbaliser - Session One / Take London

Due dischi in cui trombettisti della madonna, sintetizzatori accappella, chitarre leggere ma sempre presenti, atmosfere ambient e ritmo tra il soul e l'hip/hop mi fanno sbroccare e The Herbaliser qualche volta mi ricorda molto The Cinematic Orchestra.

Su Ninja Tune Records, ovviamente!

mercoledì 18 giugno 2008

AMSTERDAM 2.0

Sveglia leggera ma ovviamente ci pensa la colazione comandata dalla fame chimica, ad appesantire la situazione; ce ne freghiamo perché tanto, tra poco, un coffee shop ci darà una grossa mano e sarà tutto in discesa.
Dalla piazza della stazione verso il centro storico, il negozio Boudisque, che già adocchiavo un paio di anni fa, occhieggia beffardo dalle saracinesche ancora chiuse: che sia uno specchietto per allodole strafatte come noi che vanno a cercare negozi di dischi ovunque siamo? Noi ce ne battiamo le palle e andiamo al coffee a cercare gli altri. Il locale mi pare fosse il Green House di Leidzeplein ma potrei sbagliare: due sono i ricordi più vividi di quella mattina, 1. il boccone infame della colazione, traditore nel momento in cui una mangiata abbondante dovrebbe venirti in aiuto e 2. un carretto giallo che solo guardarlo da fuori, come ondeggiava, mi faceva girare le pareti dello stomaco.








Dopo l’aperitivo il giro sul battello è d’obbligo, e per farlo siamo intenzionati ad attraversare interi quartieri. Si è stanchi, con l’occhio lucido e il passo stanco con una fiacca micidiale che attanaglia i poveri arti inferiori massacrati il giorno precedente. Comunque siamo tonici: per fare 12 metri impieghiamo circa 30 minuti… il primo bar all’uscita dello shop è attraente e invitante, ci prendiamo un caffè, buono anche. Ci si rimette in moto ma, 3 metri sono davvero troppo per ora quindi la panchina con vista (la stessa del bar, ovviamente!) è l’unica alternativa valida. Un buon quarto d’ora è sufficiente a farci sentire degli eroi lanciati alla salvezza del mondo ma, il fallimento della ormai cosiddetta “Amsterdam 2.0: Operazione Movimento” è dietro l’angolo… Noi ci si prova la terza volta e un bell’angolo da fotografare ci “costringe” a stoppare nuovamente le membra su un gradino, anche perchè apprezzare le fantastiche evoluzioni dei ciclisti che evitano i disgraziati che escono dai coffee shop non ha prezzo. Riescono ad avere un equilibrio formidabile anche se non so si rendono conto del fatto che stanno rischiando la vita. A questo punto Max dice “ma che bella città, non si sente neanche un clacson… “ e forse proprio per questo, di lì a poco un ignaro suicida si becca una strombazzata micidiale sia da un'auto che da un ciclista, roba da far venire un colpo…











Comunque dopo una mezz’ora ci si muove e stavolta sul serio! Si raggiunge il molo di attracco, impieghiamo un po’ a capire qual è quello giusto e i punti cardinali sono ancora un mistero, una corsa la perdiamo. Comunque c’è tanta gente interessante in attesa e si iniziano a scattare istantanee fulminee e geniali, che ritraggono le persone come fossero attori di un fotoromanzo ma ignari del Man With The Camera. Da una barca a motore lucidata a olio di gomito esce un timoniere bello e biondo come il sole che accoglie le vogliose turiste e i loro imbarazzati mariti sul suo natante. Ovviamente è provvisto, sovraccoperta, di scorte fondamentali alla sopravvivenza dell’uomo in mare, e cioè champagne e stuzzichini di ogni genere ma sottocoperta, tira fuori dal cilindro i due prodotti locali di alta tendenza più in voga, e cioè puttane e marijuana .










Il battello però è una delusione: nessuna zoccola ad attenderci a "braccia" aperte, nessun bòlas degno di essere fumato è rollato per noi, nessuno schiavo a stendere il tappeto rosso per i VIP della vacanza. No! Il natante è da gran turismo, cioè turismo di grandi dimensioni, per numeri consistenti di persone. All’inizio ci tocca in piedi, una gran fatica ma l’ipod accorre in soccorso e mi ascolto un blues che sull’acqua acquista un movimento interessante, dato che si tratta del Blues da Laurel Canyon, John Mayall. Una volta trovato posto a sedere io, testa tra le mani, mi addormento o quasi, gli altri non so, ma posso giurare che siamo tutti messi come il culo e per questo il giro in battello acquisisce un sapore mistico, il rollìo sull’acqua ci culla verso remote sponde come le anime portate da Caronte e i pensieri galleggiano lontano, lo sguardo viaggia verso le case alte e strette, dai tetti storti e le finestre larghe, le tegole nere ad incorniciare, come fossero caschi di capelli corvini, quelle che sembrano facce tristi e malinconiche cui il sole, strano attore che approfitta di questi giorni per farsi vivo spavaldo e superbo, dona un’aria meno tetra e spettrale.
Mi risveglio in fretta, qualcuno mi punge il fianco con un gomito; non so chi è, ma capisco che è ora di smontare dal battello per un giro a piedi, e mi sento in forma, se non smagliante sicuramente più di prima. Il quartiere sembra accogliente, le panchine all’ombra di grandi querce invitanti e la gente meno propensa all’insulto o all’omicidio su due ruote: siamo piuttosto lontani dal centro in cui alcuni viaggiatori, avventori dei negozi della felicità, riversano in strada in condizioni poco opportune per mettersi a passeggiare tra la folla indaffarata e frettolosa.

Io cerco di darmi un tono e faccio il pettinato, propongo agli altri di andare a visitare un museo che due anni fa mi fece uscire il cervello dagli occhi (il Van Gogh), dicendo agli altri che sarebbe proprio da vedere. Dopo una mangiata a base di qualcosa di carne (non ricordo cazzo, non ricordo!) il parco vicino al museo fu un’attrazione troppo dura cui resistere, quindi ci siamo sdraiati promettendoci a vicenda che ci saremmo alzati in tempo per la visita a sfondo culturale. Ovviamente ci siamo dimenticati e, siccome io il museo l’avevo già visto e sarebbe comunque rimasto aperto anche di domenica, si propone un coffee shop da raggiungere con il battello. Così ci si riposa anche, siamo stati sdraiati mezzo pomeriggio, non siamo allenati per questo tipo di attività fisica. Nel frattempo Max ci fa notare come “Amsterdam è davvero una bella città e i parchi sono proprio tranquilli, per esempio non c’è nessuno che gioca a pallone… “ in quel preciso momento, una sfera bianca e nera ci sfiora a velocità smodata… incominciamo a dire gentilmente al profeta di fare silenzio, e tenere le preziose considerazioni sulle abitudini degli olandesi di Amsterdam per sé.












Si raggiunge il coffee shop, il vecchio e caro Rokerij di Langestraat che finalmente riesco a trovare sulla mappa. Si tratta di uno dei più belli e interessanti di Amsterdam, primo perché serve dell’ottima erba di qualità fantastica (provare la loro Shiva o la White Shark per credere), secondo perché il posto è praticamente un cunicolo abbastanza grande di forma rettangolare, scavato all’interno di uno stabile, va leggermente in discesa e se si entra in stato abbastanza confusionale; l’impressione potrebbe essere quella di una discesa agli inferi, forse le grafiche etniche e tribali aiutano l’immaginario della fattanza... Comunque ce ne andiamo quasi subito perché la musica, per l’orario e il tipo di locale, è troppo alta e inadatta.
Si va a cena in una steakhouse e ci si ammazza di bistecche e baked potato, salse varie e chili, nachos, birra e acqua. All’uscita ci fondiamo nuovamente in un coffe shop, di nuovo l’Abraxas perché pare ci sia una festa da quelle parti. Quando si arriva un po’ di gente c’è… ma non so se stiano festeggiando perché sono felici o perché hanno acceso un sacco di “candele”… noi per non sapere leggere né scrivere, ci uniamo ai festeggiamenti e facciamo del nostro meglio per: 1. darci un tono e 2. essere all’altezza della situazione. Insomma ci sfasciamo a dovere e verso l’una ne usciamo in condizioni aliene. Ci si augura la buonanotte, Bruno e io si vaga per lidi estranei e si finisce in bellezza davanti ad una media, seduti in un pub vista piazza.

giovedì 12 giugno 2008

CHE TE LO DICO AFFA'!

SoloTeenChtulhu.

Dopo tanto dire, fare, scaricare dischi un po' ambient, un po' dub, un po' rock-fighetti e un po' scelleratamente (quasi) dance, mi ritrovo sempre al cospetto di chi comanda sul serio con del metal impenitente e massacrante.

martedì 10 giugno 2008

AMSTERDAM / P.1 - 23/5/8

Di viaggi ad Amsterdam se ne fanno parecchi. Di vario tipo.

Il primo ha avuto termine con l'arrivo all’aeroporto di Schiphol verso le 11.15. Il tempo di capire come si esce dall’aeroporto, ché la gayna già spingeva fuori dalle mutande, e si realizza subito che sarà un weekend uber quasi alles. Ci becchiamo un tempo fenomenale, con un sole così splendente che se non stai attento ti becchi una scottatura... e sarebbe stato davvero geniale se avessimo portato a casa un’insolazione da Amsterdam, ma io ci ho la carnagione terrona e non mi scotta nemmeno il sole d’Africa. Si va prima in hotel (in Botel, un battello-hotel... ma quanto son pettinati gli Amsterdamiani?), da cui si gode il bel panorama sul bacino con la città di Amsterdam a sud oltre il canale e l’uscita sul Mare del Nord (a nord, cazzo, a nord!). Un battello di Greenpeace sulla destra e un sottomarino russo del dopoguerra di fronte al finestrino completano il panorama. Il sommergibile è nero, massiccio, incazzato, certamente metal e con un’enorme falce&martello rosso fuoco stampata sul muso. Inoltre un bel pub sul pontile, tutto in vetracciaio, completava il quadretto della vista dal finestrino, ma era troppo pettinato per esser preso in considerazione da dei pezzenti come noi.









Amsterdam è una splendida città, affascinante, e col sole guadagna mille punti; non è certo il posto per andare a farsi solo le canne. Però se ci passate un salto al coffee shop fatelo, non fate i pezzenti che siete e spendeteli ‘sti 15 euro! Tanto, male che vada partecipate alla causa, sostenendo lo sviluppo della felicità altrui ma, se vi va bene, sosterrete anche la vostra. Ovviamente noi ci siamo astenuti dal consumare certe sostanze... Siamo contrari, noi.











Il primo pomeriggio lo impieghiamo a capire come si gira per la città, dove stanno i punti cardinali perché ci si continua a perdere e se non fosse stato per quegli splendidi scritti sui marciapiedi (where are you?) non ci sarebbe nemmeno venuto in mente di consultare le cartine (cioè la mappa... ). Nonostante io ci sia già stato, tenere traccia col sole è come scrivere il tuo nome sul bagnasciuga: prima o poi qualcosa te lo porta via. Nel caso di Amsterdam, se non è una nuvola, è l’ingresso in un coffee shop, cosa che accade praticamente subito, giusto per provare l’esperienza e l’ebbrezza della prima volta (…)
Si va quindi al Soft Temple, ma mica per decisione studiata, ci siam finiti per caso sulla Kalverstraat. Il coffee è su 3 piani, ognuno dei quali minuscoli, in cui divanetti e panche abbastanza spaziose si alternano a sgabelli e tavolini da nano; la musica è pettinata (soul, r&b, rock anni '70 e metal) e il tipo si fa i cazzi suoi qb; fa bene.








Il resto del pomeriggio francamente mi sfugge, ricordo che abbiamo vagato come pazzi per il centro cercando di ritrovare la strada, facendo foto geniali di posteggi improbabili per bici, attracchi kilometrici per battelli minuscoli e ponti di pietra e ogni tanto io mi ricordavo del coffee shop Rokerij della Lange Straat che non sapevo dove cazzo fosse e che però gli giravo intorno di continuo. Si vagava in tondo soprattutto per quell'aria di adorazione ed estasi che avevamo tutti nei confronti delle donne di Amsterdam: mai viste tante bellezze in una volta sola in una città del Nord (beh oddio magari esagero, magari era l'effetto verde!)... sono tutte alte, quasi tutte biondissime e con lineamenti regolari e delicati, molto femminili, ma non è tanto questo; è più un fatto di atteggiamento, attitudine e attenzione ai particolari. Al di là della questione abbigliamento (meglio di tedesche e inglesi, mai come le italiane) sono eleganti nei modi di fare, sportive quando girano per la città, spiritose quando gli chiedi un’informazione e ti rispondono in un’inglese perfetto: tu dici “scusa vai più piano che non ti seguo” e lei di rimando “per imparare bene l’inglese devi vivere ad Amsterdam”. Ecco, non volevo dire proprio quello, magari se usi i freni della bici riesco anche a parlarti ma va bene, colgo l'ironia...











Dopo esserci sbrindellati, belli sciolti, in un parco vicino, prima di cena si fa un aperitivo a base di prodotti locali, in un coffee shop. Credo fosse l'Abraxas, molto carino, su due piani con tavolini in legno. Ci sono due ragazze con un tizio. Forse son tedeschi ma non ne sono sicuro; le due donne sono entrambe brune e decisamente carine, ma fumano come delle bestie attaccate ad un bong che non smetto di fissare. Ad un certo punto, una delle due si allunga verso di noi (evidentemente anche gli altri appezzi dei miei companeros fissano qualcosa che -forse!- non è il bong) e chiede "volete il bong?", noi "no", "e che vi guardate allora?"...
Ce ne andiamo a cena. Siamo abbastanza sfatti e ordiniamo tutto in duplice copia cercando di capire se stiamo ordinando con lo stomaco, con la testa o con i culi che ci siamo aperti a furia di fumare. Si prende troppa roba e ovviamente si fa fatica a finire, quindi per digerire si va in un coffee shop e a questo punto ogni ricordo perde sostanza, forma e vigore. Francamente non so più dove siamo finiti ma ricordo una fantastica sensazione di leggerezza e di felicità mista ad ebbrezza sin dalla prima apertura delle palpebre, cosa che non credevo possibile ad un'ora disumana come le 9 dopo esserci coricati circa alle 2, nello stato in cui eravamo. Il sonno della prima notte è stato conciliato dalle musiche di Mammatus, album s/t e Dead Meadow, album Old Growth.

venerdì 6 giugno 2008

I CINQUE DELLA MADONNA

Omar Rodriguez Lopez Quintet - Gruppo strapettinato che suona musica fantastidelica, un po' a metà strada tra il rock quello di Faith No More con incursioni nei Mars Volta e il jazz quello di John Zorn, il tutto un po' fusion e un po' slegato a briglia sciolta su improvvisazioni della serie "Amsterdam" e sulla falsariga di band strumentali come 35007 (sempre olandesi credo di Amsterdam, pure); infatti questo è il terzo lavoro della serie di quattro iniziata nel 2005, dopo che Omar si è trasferito nella città olandese dimostrando a tutti come abbia capito tutto dalla vita.


Trovato in un negozio di Amsterdam, il Velvet, sulla Haarlemmerstraat, una soleggiata e calda domenica mattina verso mezzogiorno, con il proprietario che mi ricopriva di dischi superfighi e io che mi scassavo su una poltroncina colle cuffie in testa.

La cosa pettinata? Che ad un certo punto il negoziante m'ha offerto un paio di tromboni di ganja olandese notevolissima, da fumare in tutta tranquillità nel suo negozio mentre decidevo quali dischi comprare.

giovedì 5 giugno 2008

BLUES FROM DOWN HERE

Proprio non si può.


Quando ascolto questo wettinato TV On The Radio mi chiedo se c'è ancora qualcosa che valga la pena scoprire e che mi faccia girare la testa ogni volta. Beh sì qualcosa c'è sempre, però oddio non è che ho COSI' TANTA voglia di cercare... Almeno per ora. Poi i miei gusti cambiano dal giorno alla notte quindi tutto po' esse...
Però ci sono quei dischi che arrivano dentro, ti puliscono dalle stronzate, i motivetti all'apparenza semplici/idioti/banali ti ronzano attorno come le mosche stanno ai capelli di Rob Zombie. Restano lì, a girarti in testa, ti scopri a fischiettarli seduto sul cesso. Al telefono sei col cliente che fa le sue rimostranze e tu, per l'assoluto rispetto che hai del prossimo, ti canticchi un bel Blues From Down Here.

E se ti va di ballare, metti su i TV. O se ti va di viaggiare, t'accendi i TV o se ti va di scassarti sul divano, te li rolli, i TV. Ma se ti va di farti due risate in compagnia cambia aria, perché qua non c'è un cazzo da ridere.

E schiaccia play sui TV, che poi ci guardiamo.

mercoledì 4 giugno 2008

DATO CHE SI PARLA DI AMSTERDAM

http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo416347.shtml

California, laurea in marijuana

Si studia l'uso a scopi terapeutici

La produzione e la commercializzazione della cannabis diventa materia di studio negli Usa, dove un'università privata di San Francisco ha istituito un corso di specializzazione, al termine del quale gli studenti son pronti per operare "sul campo". All'Università di Oakland, si impara a coltivare, raccogliere e preparare la marijuana, con l'obiettivo di incoraggiare i laureati ad aprire centri che dispensano cannabis a scopo terapeutico.
L'università, che ricalca la struttura di una scuola analoga ad Amsterdam, ha aperto i battenti a novembre e ha recentemente avviato corsi distaccati anche a Los Angeles: in un corso intensivo, che si tiene nel weekend, gli studenti imparano tutto quel che serve, dalle politiche federali sulla detenzione di marijuana, agli aspetti legali, alla coltura della pianta, alle qualità curative della cannabis.
Inoltre gli viene proposto un gioco di ruolo in cui gli universitari imparano ad agire nel caso in cui fossero fermati dalla polizia nelle loro operazioni di coltura della cannabis. Al termine del corso gli studiosi sostengono un test in cui si accertano le competenze e l'attestato servirà loro per ottenere un lavoro nel campo della distribuzione della marijuana nelle strutture ospedaliere o altrove. Al momento sono 12 gli stati che hanno consentito l'uso medico della marijuana.
"I nostri laureati usano i loro attestati per far lobby in modo diverso sul governo", che sia in California, a Washington Dc o altrove, dice Danielle Schumacher, uno dei responsabili della "Oaksterdam University", come è stata soprannominata da chi la frequenta.

Detto questo, vado a fare un po' di terapia in salotto...