martedì 12 dicembre 2006

CRIMINI ITALIANI

Qualche sera fa la prima puntata di Crimini, la nuova fiction in onda su reti Rai in prima serata. Episodi scritti da maestri del noir moderno (o del "giallo sporco" se preferite) come Giancarlo de Cataldo (leggi qui), o Niccolò Ammaniti (autore di Io Non Ho Paura), i quali molto spesso (sempre) denunciano episodi che accadono realmente e quotidianamente.


Dalla prima puntata (di Andrea Camilleri) si capisce subito che queste puntate di 100 minuti l'una, otto in tutto, sono degli spaccati duri e crudi delle realtà locali italiane. Ecco la domanda: dove sta la differenza tra un normale poliziesco duro in american-style, dal nostrano?




In USA il racconto criminale nasce con Edgar Allan Poe (Murders In The Rue Morgue -1841- e apre le porte al romanzo poliziesco con indagini e riflessioni sull'animo criminale umano). Si evolve nel noir crudo e spietato di Raymond Chandler, Chester Himes, Edward Bunker e non senza una punta di umorismo; in certi casi (Chester Himes in particolare) l'umorismo è onnipresente, anche durante lo svolgimento di un'attività criminosa qualunque.




In Europa nasce con Balzàc e Un Tenebroso Affare (che guardaunpo' è anch'esso del 1841): apre le porte al noir che, a differenza dell'anglosassone, non analizza solo la questione psicopatologica del criminale, ma ne esalta e ne analizza i comportamenti all'interno di una scena sociale particolare: quella napoleonica post-rivoluzione. Si evolve con Derek Raymond nella serie della Factory londinese (sezione A14, Delitti Irrisolti, leggi qui) con profonde riflessioni sull'animo umano e gli sconvolgimenti psicologici che portano ad efferati delitti. Il tutto assolutamente privo di un qualsivoglia senso dello humor ("...chi ha meno humor e buon senso? Un carcerato o un politico in visita ad una prigione?" cit. Derek Raymond).



In USA esistono, nei romanzi criminali o nelle fiction televisive a sfondo giallo o nero, poliziotti corrotti, sempre e in ogni sfumatura. Va molto di moda nel mondo anglosassone.



In Europa e soprattutto in Italia il poliziotto corrotto, non lo vuole vedere nessuno: non piace alla "cvitica" televisiva, semplicemente; i sondaggi sul popolo spettatore parlano chiaro: vengono apprezzati, elogiati, elevati a spiriti nobili che combattono per una giusta causa senza macchiarsi mai, e riescono anche a gestire la famiglia che si va sgretolando a causa di un lavoro che oscura il cuore e obnubila la mente. Poco credibile, ma ammirevole.



Conclusione: preferisco di gran lunga i vecchi romanzi e i film americani, non tanto per la
capacità di analisi di una società dura e malata (quello lo sappiamo fare anche noi: abbiamo autori fantastici, con una sensibilità tanto spiccata da riuscire a cogliere -e restituirlo al lettore- l'aspetto culturale e sociale del crimine che potrebbe sembrare fine a se stesso); piuttosto li preferisco per quel senso dello humor che non deve mai mancare, nemmeno quando si parla di un crimine efferato.




Insomma, viva il romanzo criminale italiano ma, impariamo dagli americani, che è una vita che scrivono di queste cose.



A proposito, il primo che inserì della comicità nel romanzo poliziesco fu sempre chi l'inventò: E.A. Poe, il più grande di tutti quanti, perché alla fine viene fuori che... beh leggitelo che fai prima e ridi di più, alla fine!

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