ROMANZO CRIMINALE
Oggi ho voglia di parlare di un film italiano, bellissimo, e a suo modo triste e spietato, quasi malinconico. Romanzo Criminale prende vita dall’omonimo libro di Giancarlo de Cataldo (Giudice presso la Corte d’Assise e sceneggiatore, scrittore di testi teatrali e traduttore) e rappresenta una delle pagine più cruente della storia dell’Italia degli anni ’70. La regia è del grande Michele Placido, la sceneggiatura dello stesso scrittore, che ha improntato il libro già in modo da poter essere facilmente ricostruito in modo cinematografico, probabilmente senza pensarci troppo, grazie alla sua abilità nel costruire storie e personaggi in un modo naturalmente “moviesco”.
Roma, metà degli anni ’70. Ragazzini su un’auto rubata sfondano un posto di blocco dei Carabinieri e vengono inseguiti. Si nascondono, vengono trovati, malmenati dai Carabinieri (ad uno di loro viene fratturata una gamba), gettati in un carcere minorile e lì, trasformati in veri criminali. Erano amici da sempre, veri amici. E la gang criminale più spietata che l’Italia ricordi: la famosa “banda della magliana”.
Lo scopo del film (e del libro) non è fare sensazione, giustizia o vendetta; si raccontano invece le vite vissute e sprecate di giovani intelligenti, a loro modo geniali nel vedere le cose e in grado di organizzarsi a dovere in nome di un’amicizia che non muore nemmeno davanti al tradimento (beh, quasi… ).
“Libanese” (Pierfrancesco Favino) è il personaggio di punta del gruppo di gangster che ha un’idea: impadronirsi di Roma. Non nel senso letterale del termine; lui vuole a tutti i costi essere potente, avere il controllo su tutto ciò che lo circonda di buono e di malvagio, trasformandosi in un assassino con pochi scrupoli. Il resto degli amici, “Dandi” (Claudio Santamaria), “Terribile” (Massimo Popolizio), “Sorcio” (Elio Germano), “Nero” (Riccardo Scamarcio, uno dei volti più interessanti e affascinanti del cinema italiano e attore di grande talento), “La Voce” (Toni Bertorelli) e “Il Freddo” (Kim Rossi Stuart), amico fraterno del Libanese, lo seguono come fidi destrieri, dando tutta l’anima in quello che si rivelerà un successo criminale senza eguali: dei ragazzini sbarbatelli che si trasformano in padroni assoluti del traffico di droga prima e del gioco d’azzardo e della prostituzione poi, diventando a pieno titolo i padroni indiscussi della malavita romana. In seguito il potere acceca alcuni e i primi tradimenti vengono fuori. Prima di tutto ciò, la dimostrazione che si fa sul serio è data dal rapimento del Barone Rosellini, ucciso dal Libanese ancora prima di accordarsi per il riscatto. Loro non vogliono soldi, vogliono fama, gloria e potere. Il commissario Scialoja (Stefano Accorsi) è l’unico che sembra accorgersi che la gang è davvero forte, superano l’immaginazione il traffico e i legami intrecciati con mafia, istituzioni politiche e altre gang. Per questo motivo decide di mettersi sulle tracce della donna del “Dandi”, Patrizia (interpretata dalla splendida Anna Mouglalis), la quale si innamora di lui che a sua volta cede alle irresistibili avances. In realtà lei è una prostituta, pagata dalla gang per fare silenzio e a cui viene regalata una megavilla da gestire come casa chiusa nell’ombra (e anche per deviare alcune piste degli investigatori). Si scatena a questo punto un gran disastro, viene citata anche la strage alla stazione di Bologna del 1980, con chiaro riferimento ai depistaggi per far apparire il tutto come un attentato politico. Finisce che il “Libanese” muore accoltellato per una vincita al poker troppo sostanziosa, sospetta e un battibecco di troppo con il tizio sbagliato (ma invidioso e talmente codardo da colpirlo alle spalle). “Dandi” perde completamente la testa per Patrizia e per la droga, e combina un guaio dopo l’altro. “Terribile” diventa a sua volta il leader della banda, ma è talmente incattivito da anni di guerra e carico di vendetta per la morte del “Libanese” che finisce a sua volta per restarci fregato. La gang non è più la terribile minaccia per la società che era una volta e il “Libanese” riposa in pace in una cripta inaccessibile in territorio Vaticano.
Nel bellissimo finale degno del miglior Pasolini, i ragazzini di una volta si rincorrono, al crepuscolo, e scoprono una vecchia auto scassata e incidentata, vicina ad una baracca dove anni addietro si nascosero dei ladri d’auto forse troppo giovani per le loro marachelle. Improvvisamente un flash e uno di loro ricorda tutto, “Ragazzi scappiamo! Di corsa, via di qui!” E si salvano, scappano da un futuro terribile per loro e l’Italia intera, salvando molte altre vite. Ma la storia non si cambia e resta il dubbio che criminali si nasca davvero: bisogna esserlo dentro. Pare, dal film e dal romanzo, che questi ragazzi fossero vittime di una società ingrata e spietata che non consente sbagli; bambini mascherati da criminali in cerca di una giustizia a loro negata, sin da quella notte sfrenata a bordo di un’auto rubata…
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