martedì 21 agosto 2007

CHAOS A.D. E LA TORRE DI BABELE

Chaos A.D. è il titolo di un grandissimo album di metal degli anni '90, segnò la svolta, commerciale e stilistica, di una band a cui in quegli anni ero legato come il laccio di un accalappiacani al collo di un randagio lercio e rabbioso. Ma non sono qui a parlare dei Sepultura, band di cui non mi frega più un cazzo da più o meno un paio di lustri.

Il film che ho visto ieri sera mi ha riportato alla mente quel disco semplicemente per la caotica esistenza del genere umano in esso rappresentato. Il controllo delle vite che sfugge via a causa di eventi imprevisti e imprevedibili, confuse e deliberate azioni criminali, attuate da persone al tempo stesso inconsapevoli ed egoiste. BABEL ha la forza dolente di un racconto noir, la freddezza asciutta di uno spietato romanziere tanto dolce quanto disperato da scatenare emozioni di un profondo senso di pietà umana, tradotta in squarci di autentica poesia narrativa visiva. Quattro storie di vita incrociate in altrettanti lontani angoli di mondo: San Diego (USA - CAL); Tijuana (MEX); Marocco; Tokyo. Quello che ne esce è un film le cui scene sembrano cadute di mano allo scenggiatore e un ignorante di passaggio le abbia rimesse nella bobina come gli pareva con tempi dilatati, scene rallentate, discorsi all'apparenza incoerenti ma zeppi del significato sulla nostra presenza in vita, solo di passaggio in una strana epoca di eventi mondiali e personali, in attesa che il treno dell'Ultimo Grande Viaggio faccia sosta alla nostra stazione. Nientedimeno, è un film sulla sofferenza, sul male di vivere dei nostri giorni; lasciamo troppo spazio all'odio cieco e togliamo la parte del protagonista alla nitidezza della ragione, i cui lumi sono resi ciechi dalla presuntuosa ricerca di un colpevole cui legare al collo il cappio delle nostre paure, angosce, disgrazie. Il rifiuto vissuto dovuto ad incomprensioni e ignoranza fa da cornice alle urla di una consapevolezza che avanza inesorabile, che non lascia più spazio ai sogni; resta solo il dolore per la scomparsa prematura di chi amiamo e l'angoscia di non poter riuscire a perdonare chi suo malgrado è restato nel mondo dei vivi. Il messaggio finale potrebbe essere che questo eterno ciclo della vita, l'inizio il mezzo e la fine dell'essere umano, questa incomprensibile danza nel teatro della nostra esistenza continuerà anche senza di noi, che lo vogliamo oppure no. Da lontano il nostro mondo è uno spettacolo meraviglioso ma l'ignoranza della nascita e della morte ci rende pazzi. Non possiamo scegliere, non ci è dato capire, non possiamo tornare alla terra su cui siamo stati concepiti; possiamo però trattare con più rispetto la materia di cui siamo fatti. Forse allora, e solo allora, capiremo il senso di tutto questo Caos nell'Anno del Signore.

Una splendida musica al piano che scivola lenta e aggraziata, disperata e leggera e tagliente come lame di rasoio, Bibo no Aozora, scritta e suonata da Ryuichi Sakamoto fa da colonna sonora a questo capolavoro, firmato Alejandro González Iñárritu.

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