giovedì 27 aprile 2006

Dogday Today Soundtrack (CARCASS)

Che non è il titolo di un disco, ma l'espressione massima a cui posso arrivare oggi senza essere offensivo nei confronti di tutti quanti (e lui solo sa quanto vorrei e potrei esserlo). Però l’intento era parlare della colonna sonora di oggi, ispirata e dedicata ad uno dei miti del mio passato: CARCASS.

La band non esiste più da anni ormai (circa dieci) e i musicisti fondatori si sono ritrovati in altre formazioni, sempre e comunque inerenti al panorama rock/heavy: Jeff Walker (basso+voce), Carlo Regadas (chitarre) e Ken Owen (batteria) → Black Star / Bill Steer (chitarra in Napalm Death come sostituto di Justin Broadrick, co-fondatore dei ND con Nicholas Bullen e Miles Ratledge e ormai avanti millenni con il progetto Godflesh) → Firebird / Mike Amott (chitarre) → Spiritual Beggars, Arch Enemy e Candlemass (e ‘staminchia… ).

Il disco in questione è: “Symphonies Of Sickness” (artwork originale qui); questo non è né l'esordio della band, né l’LP che ha venduto di più -non che si stia parlando di una band dal successo planetario ma è certamente una di quelle più conosciute e che ha venduto meno. Questo è IL disco di riferimento per quello che concerne il discorso completo sulla band, il loro "pensiero", la loro "musicalità" e ironia (sì, sono una delle band più ironiche nonostante i contenuti lirici decisamente stomachevoli). Di riferimento perché da qui in poi si iniziò a parlare dei Carcass come fenomeno musicale estremo post-Napalm Death (nella seconda metà degli '80 non c'era nulla di più frastornante, veloce e incazzato).

Il disco d’esordio, Reek Of Putrefaction (artwork originale qui) è troppo grezzo e immaturo per essere considerato alla stessa stregua del successivo di cui mi occupo in queste righe. Per molti i migliori album della band britannica sono altri, “Necroticism – Descanting The Insalubrious” o “Heartwork”, che sono eccellenti lavori di heavy metal ben suonato, prodotti alla grande, con testi curati e intelligenti e tutto quanto ma “the real thing”, il disco importante e d’impatto culturale nel mondo dell’heavy metal, è “Symphonies Of Sickness”. Non ci sono cazzi.

Tali LP hanno conosciuto la propria fama grazie, ma non solo, alle copertine. Gli artwork dei Carcass sono sempre stati identificati con gli aggettivi "sconvolgente", "insano", "malato", "stomachevole", "ripugnante" e via dicendo. Per non parlare dei testi contenuti nei booklet macchiati di sangue (scherzo... in effetti i testi non c'erano con le prime release, furono inseriti nelle ristampe dopo averle pulite dalle macchie di sangue, si capisce). Insomma, non è che fossero esattamente parole piacevoli, o ribelli, o rockandroll, o metal, o quello-che-vi-pare; nessuno ha mai affrontato argomenti di medicina legale o più semplicemente di morte, putrefazione, parassiti, malattie infettive, tumori, torture corporali con scopi "scientifici", incontri ravvicinati con gli organi interni e altre prelibatezze. Credo anche che dopo il loro scioglimento avvenuto subito dopo l'uscita del disco, dal titolo premonitore "Swansong", a cavallo degli anni '96-'97, nessuno abbia mai più affrontato con la loro stessa vena creativa argomenti del genere.
Titoli come “Empathological Necroticism”, “Excoriating Abdominal Emanation”, “Swarming Vulgar Mass Of Infected Virulency”, “Cadaveric Incubator Of Endo-Parasites” hanno qualcosa di geniale e istruttivo; io non sarei mai stato capace di formulare una frase tanto schifosa quanto esilarante; è possibile immaginare uno “Sciame Di Volgare Massa Di Virulenza Infettiva” senza scoppiare a ridere? O “Emanazioni Addominali Escorianti”? Cioè fate un po’ voi…

Vena creativa e ironia sono dunque le chiavi d’interpretazione della musica dei Carcass. Filosoficamente vegetariani perché un hamburger non si nega mai e appassionati di medicina legale nel senso che lo schifo attira (nessuno di loro ha studiato medicina, beninteso; sono dei chitarristi incazzati, mica futuri medici legali –e col senno di poi avrei avuto paura anche da morto a farmi esaminare da uno di loro), capirono che l’unione del ribrezzo, scatenato nei vegani dalla carne macellata e mangiata (i vegani sono i fondamentalisti dei vegetariani), interventi di medicina legale su corpi devastati, e testi assolutamente nonsense e capillarmente espliciti in tutto ciò che fa raccapriccio, era l’assoluta novità in campo metal estremo. Fino a quel momento nessuno si era spinto così avanti.

Musicalmente il discorso è lo stesso: velocità, voce odiosa che sembra uscire da polmoni pieni d’acido e corde vocali arrugginite, ritmiche quasi incomprensibili, suoni come se ci si trovasse sotto il cavalcavia di un’autostrada a 8 corsie… insomma la ricetta andò alla grande per anni e molti li imitarono; i Carcass invero, fecero da traino per un sacco di band meritevoli solo di essere cancellate dalla memoria (semmai qualcuno se le ricordasse; per quanto riguarda me, m’importa solo dei Carcass in questa sezione).
Sinceramente, è una delle band di cui sento molto la mancanza; nel 1991 a Roma, suonarono insieme con i Napalm Death e con gli emergenti, allora, doom-masters Cathedral. Il concerto si chiamava "Gods Of Grind". Io c'ero, ero un adolescente cretino e sbarbato (ora ho la barba) e l'esperienza fu traumatica, sconvolgente, alienante e per questo, estremamente divertente. Oggi, a 15 anni di distanza, mi posso vantare di aver visto in concerto le tre band più estreme al mondo, insieme, in un’unica pazzesca serata.

giovedì 20 aprile 2006

END PROHIBITION NOW! #2 (Legalizzazione seconda parte)

Siamo alla seconda puntata di quella che considero LA battaglia dei "freethinkers" del nuovo millennio. Ci tengo molto a portare avanti questo discorso; nella prima puntata non avevo specificato il perché: non è per lanciare il messaggio -frainteso ogni volta che ne parlo- "Vogliamo-La-Droga-Libera-Per-Tutti!", un po' "à la Pannella" diciamo. I motivi ve li dovete leggere, se avete voglia, e quella che segue è la seconda parte.

Nei primi anni la maggior parte degli arresti erano per uso o trasporto di marijuana, la droga che fu più facile da vietare a causa della larga distribuzione, e assoluta facilità di reperirla da tutti, anche perché gli agenti di polizia erano in grado di riconoscere l’odore facilmente, in caso ne fosse stata trasportata in grossi carichi all’interno delle carrozzerie delle auto fermate su strade e superstrade. A quei tempi la stampa equiparava la marijuana alla cocaina e all’eroina; la maggior parte del pubblico difficilmente sapeva, per cultura, le differenze tra una droga e l’altra. I sequestri di marijuana erano la prima interdizione alle droghe su cui la polizia poteva contare migliaia di libbre (decine di tonnellate) ma per il pubblico le droghe erano droghe e un migliaio di libbre erano un terribile mucchio di droga –anche questo contribuì a far apparire il problema droga molto più importante di quanto non fosse davvero a quel tempo.

Ci sono state molte conseguenze non intenzionali nella guerra alle droghe; una che seguì al successo dell’interdizione di grossi carichi di marijuana, fu che causò lo slittamento dei venditori verso droghe più dure; erano meno rintracciabili e davano garanzie di guadagni molto più elevati, a parità di peso. Tra queste droghe ci sono eroina, cocaina e matamfetamine. Un altro effetto, peggiore, fu che in pochi anni il prezzo della marijuana crebbe del 2.500%: da 160$ a 4000$ per libbra. Questo ovviamente spostò l’attenzione di una parte dei consumatori verso droghe più accessibili, meno rintracciabili e che stavano diventando sempre più economiche. La guerra alle droghe davvero incrementò l’uso di droga, fece involontariamente in modo che i consumatori di droghe leggere passassero alle droghe pesanti, come l’eroina e la cocaina.

Le motivazioni politiche sono sempre state evidenti in molti degli arresti effettuati per droga. Quelli che persistevano nel classico “accendi e nascondi” dei figli dei fiori dei tardi anni ’60, dei quali la maggioranza andò a protestare contro il coinvolgimento degli USA nella guerra in Vietnam, furono i primi su cui ci concentrammo. Includemmo velocemente gruppi attivisti di minoranze etnico-razziali, come i Black Panthers; dopo tutto, H.R. Haldemann, capo dello staff di Richard M. Nixon, annotò sul suo diario un’idea, una frase, che Nixon nel 1969 enfatizzò, “Dovete accettare il fatto che il vero problema sono i neri. Bisogna escogitare un sistema che riconosca tutto questo, anche se non sembra esserlo.” Il sistema escogitato era la “Guerra alle droghe”, e per quanto riguarda Nixon, avrebbe sperato in molto di più1. Questa svolta ha generato le peggiori leggi razziali viste negli Stati Uniti sin dalla schiavitù. Infatti, ci sono molti più neri in prigione negli Stati Uniti oggi (1,300,020)2 che del totale della popolazione schiava di questo paese nel 1840 (1,244,384)3.

Dopo tre anni di guerra, effettivamente stavamo arrestando qualche spacciatore di medio livello di altre droghe, come i membri del “The Breed”, una gang di motociclisti, i quali vendevano metamfetamine fuori Philadelphia e in tutta l’area della Pennsylvania.

Nel 1977, dopo sette anni di guerra alle droghe, ho abbattuto la porta di una casa del quartiere Corona, nel Queens, New York City, e sequestrato attorno ai 350mila dollari di droga. Fu riportato dai quotidiani come “…il più grosso carico di eroina messicana mai confiscato negli USA…”. Fummo sui giornali per oltre una settimana, per quel singolo caso –a dir la verità il sequestro di eroina, è un po’ imbarazzante parlarne oggi, fu di 19 libbre (poco meno di 8Kg). Ma il “problema droga” continuò dritto verso l’espansione, al punto che nel 1978 stavo lavorando su traffici internazionali di eroina e cocaina da miliardi di dollari.

Nel 1982 venni assegnato ad una profonda investigazione sotto copertura, vivendo quasi due anni a Boston e New York City, facendo finta di essere un trafficante in fuga ricercato per omicidio, mentre seguivo le tracce di componenti di un’organizzazione criminale interna che rapinava banche, piazzava bombe nei quartier generali di imprese, in palazzi di giustizia, stazioni di polizia e aereoplani e che alla fine uccisero un militare del New Jersey. Mi ci vollero due anni per terminare il lavoro; quando tornai nel New Jersey nel 1984 non ho più lavorato ad un caso del genere della narcotici. Ne fui molto felice.

La “Tabella di Purezza e Costo dell’Eroina” che segue è stata creata dalla Federal Drug Enforcement Administration (DEA) e resa disponibile sul loro sito internet, all’interno del “DEA Briefing Book”. Il grafico evidenzia e dispone costo e purezza dell’eroina dal 1981 al 2002. Il costo di cui si parla è il prezzo pagato da un individuo singolo per “farsi” una sola volta e la purezza presa in esame è la media di una singola dose di droga a livello strada, già tagliata. La DEA ha creato questo grafico nel 1980 ma, come menzionato poco sopra, io ho iniziato a comprare eroina nel 1970; posso datare la tabella dieci anni addietro.













Nel 1970 acquistammo una “three-bag” di eroina, così chiamata perché costa 3 dollari ogni bustina o dose. Ne comprammo in multipli di due, perché chi usa eroina abitualmente deve iniettarsi un paio di dosi per volta, per farsi. Quindi a due buste a 3$ l’una, nel 1970 ci volevano 6$ per farsi. A quei tempi la purezza dell’eroina era solo del 1,5% circa (purezza significa quanta droga, in percentuale, è presente tra le sostanze di taglio). Dopo dieci anni di scontri nella guerra alle droghe la purezza è più che raddoppiata e il costo per farsi è sceso ai 3,90$. E dopo trent’anni il prezzo della dose di eroina è precipitato a 80 centesimi (la valuta è in dollari del 1980, per semplificare i conti), e la purezza della sostanza è cresciuto di 25 volte rispetto al suo valore iniziale –a questo punto si registra oltre il 38% di purezza in commercio per le strade4. Dall’anno 2000 la purezza dell’eroina ha raggiunto e superato il valore del 70% a Newark, nel New Jersey e in New York City5.

NOTE:
[1] Dan Baum, Smoke and Mirrors: The War on Drugs and the Politics of Failure, New York: Little, Brown and Company, 1996, p 13.
2 Nel rapporto annuale di ogni 25 Aprile, il Dipartimento per le Statistiche sulla Giustizia afferma che a livello nazionale, il 61% dei carcerati erano appartenenti a “minoranze etniche”. Lo studio ufficiale ha riscontrato che la popolazione nazionale di detenuti in carcere è di 2,131,180 persone nel 2004. Sorgente: Saeed Shabazz, Staff Writer, FinalCall.com News, Updated Jul 1, 2005.
3 “Total Male Slaves in United States in 1840,” Geospacial and Statistical Data Center, University of Virginia Library, http://fisher.lib.virginia.edu/collections/stats/histcensus/php/state.php, July 24, 2005.
4 Il grafico della DEA indica il costo all’utente (Prezzo) per farsi di eroina e la purezza della sostanza acquistata (Purezza) elencata per anno dal 1980 al 2002.
Secondo un rapporto alle Nazioni Unite, “le autorità americane hanno riportato che la purezza indicativa dell’eroina era circa del 6% nel 1987 e ma circa del 37% nel 1997, nel cui stesso anno a New York si vide un aumento che raggiunse il 60%”.
Sorgente: Ufficio per il Controllo e la Prevenzione delle Droghe – Nazioni Unite, Trend Globali delle Droghe Illegali 1999 (New York, NY: UNODCCP, 1999), p. 86.
Con l’inflazione, ogni altro prodotto ha visto aumentare il proprio prezzo negli ultimi 30 anni ma non è così per le droghe dure illegali. Secondo la legge economica della domanda e dell’offerta, quando un mercato è saturo di un dato prodotto il prezzo di quest’ultimo crollerà, come diretta conseguenza della presenza capillare del prodotto richiesto.
Secondo un rapporto alle Nazioni Unite, “per tutta la decade scorsa i prezzi, regolati secondo l’inflazione nell’Europa occidentale, scesero del 45% per la cocaina e del 60% per l’eroina. Crolli comparativi negli Stati Uniti: circa il 50% per cocaina e il 70% per eroina.”
Sorgente: Ufficio per il Controllo e la Prevenzione delle Droghe – Nazioni Unite, Trend Globali delle Droghe Illegali, 1999 (New York, NY: UNODCCP, 1999), p. 86.
5 Dal 2000 l’eroina sta registrano un tasso di purezza superiore al 60% in Atlanta, Boston e New York, e superiori al 70% a Newark e Philadelphia. Un grammo di eroina pura viene valutato tra un minimo di 300$ a San Diego e un massimo di 2,740$ a St. Louis, dove un’oncia (31 grammi) arriva a costare 77,460$ o circa il 30% di quanto valeva nel 1970 (258,200$). Sorgente: Drug Intelligence Brief, 2002 Domestic Monitoring Program Drug Intelligence Report, US Drug Enforcement Administration, http://www.usdoj.gov/dea/pubs/intel/03057/03057.html#e, July 24, 2005.

venerdì 14 aprile 2006

AUGURI PASQUALI #2


Eh insomma, non è che possiamo festeggiare la Pasqua solo noi, sulle spalle dei conigli.
Altro che codardi! Vedi come si rimettono in gioco 'sti paraculi?

(Però poi non lamentiamoci del fatto che le uova di pasqua fanno cacare...)

Buona Pasqua a tutti

AUGURI PASQUALI #1


Questo è quello che si dice "Un Bel Paio Di Uova Al Cioccolato!!!"

SIETE OFFESI? NE SIAMO FELICI.

Che South Park sia stato preso di mira sia dai suoi esordi nessuno lo nega. Le motivazioni neanche (non so se avete presente il film e le critiche che seguirono: questo solo un esempio).
E che South Park sia uno dei migliori cartoni in giro da un po' di anni a questa parte non è una novità. Gli argomenti, le esclamazioni e le azioni dei suoi personaggi principali (più coerenti di quanto non possa sembrare) e i comportamenti spregiudicati e discutibili di tutti gli altri sono esattamente quello che io cerco in un cartone animato per adulti.

Chi non lo accetta, vabbè... in fondo non è esattamente un "light cartoon".
Ma loro possono andarsene a fare in culo.

giovedì 13 aprile 2006

ROMPERE I COGLIONI AL COSMO

Si sa che è importante sapere se c'è intelligenza superiore alla nostra, nel cosmo.
Anche che è importante investire nella ricerca... (di vite aliene?!)
Questi ghostbusters degli spazi siderali fanno un po' ridere; noi ci siamo arrivati prima, abbiamo trovato questo e senza telescopio galattico a raggi fotonici incazzati neri da 400mila bucks. Bastato un raggio laser da pochi spiccioli, mentre questi stanno ancora aspettando di prendere la linea, con 'sto telefono ottico-intergalattico.

Intanto ricordo che se vi imbatteste in qualche invasore alieno o conosceste qualcuno che vi dice di venire da un altro pianeta, fareste meglio a procurarvi questa

Pace galattica a un sacco di gente. (e guerra mondiale a tutti gli altri)
Ma non preoccupatevi, DON'T PANIC

mercoledì 12 aprile 2006

UN GELATO AL GUSTO D'IGNORANZA

UN GENIO SCOPERTO TROPPO TARDI (EROS PUGLIELLI, regista romano d'avanguardia)

Eros Puglielli, regista romano, l'ho scoperto da pochissimo grazie a due film, Dorme e Il Pranzo Onirico, passati da un collega. Questo qui è uno appezzi molto intelligente, con un senso molto sviluppato per il grottesco e l'amarezza della vita. Se ve lo siete perso, siete ancora in tempo.

"Però cheppalle tu'madre..." (cit.)

Dimenticavo... Cristiano Callegaro, praticamente il protagonista di ogni vicenda stralunata inventata da Puglielli, è un personaggio unico.

martedì 11 aprile 2006

Law Enforcement Against Prohibition (Legalizzare la droga non è da pazzi)

...me ne esco con un'altra cosa, a cui credo stia già collaborando lui, forse. Beh guardateci voi...
E' una storia a puntate, ma una storia vera. Inizia alla fine degli anni '60 (inizia alla fine, sembra un buon inizio...) e parla di droga.

Law Enforcement Against Prohibition
Jack A. Cole State Police Undercover Officer
website e mail to:jackacole@leap.cc (781) 393-6985
(e vi diamo pure il numero telefonico mica perché qua va a pizza e fichi eh... )

Rappresento la LEAP (Law Enforcement Against Prohibition, sostegno alla legge contro il proibizionismo, ndt), una organizzazione internazionale no-profit con scopi educativi creata per dare voce a tutti i membri e fondatori dell’associazione, i quali credono nella politica fallace della Guerra alle Droghe e che desiderano supportare politiche alternative che possano diminuire l’incidenza di morte, malattia, crimine e dipendenza – quattro categorie di pericolo le quali si pensava potessero essere alleviate ma che, in verità, sono state infinitamente peggiorate proprio da questa guerra. Abbiamo fatto la prima apparizione pubblica tramite il nostro dipartimento di comunicazione nel Gennaio del 2003 e siamo cresciuti, dai primi cinque membri fondatori, a oltre 3500 persone. LEAP ha 95 conferenzieri che vivono in 39 dei 52 Stati Uniti d’America e in 7 altri Stati; una potente e rispettata Commissione Consultiva composta da: un Governatore americano, quattro Giudici di Corte del Distretto Federale, uno sceriffo, cinque comandanti di polizia, il Sindaco di Vancouver, -British Columbia-, che si è ritirato dalla Regia Polizia Canadese a cavallo, il primo Procuratore Generale della Colombia -Sud America- e dall’Inghilterra il Capo della Polizia, il quale è anche il detective in capo della sezione investigativa di Scotland Yard e che è stato capo operativo della squadra narcotici per l’Inghilterra.

La prima cosa di cui sento il bisogno di parlare a voi brave persone è che la politica degli Stati Uniti di una “Guerra alle Droghe” è stata, è, e sempre sarà un totale e abbietto fallimento. Questa non è una guerra alle droghe; questa è una guerra alla gente –la nostra stessa gente– i nostri figli, i nostri genitori, noi stessi.

Sono entrato a far parte della Polizia di Stato del New Jersey nel 1964 e sei anni più tardi ho iniziato il mio lavoro alla Narcotici, proprio agli inizi della guerra alle droghe. Il termine è stato coniato e creato da Richard Milhous Nixon, nel 1968, durante la sua candidatura a Presidente. Nixon era convinto del fatto che una piattaforma politica di “durezza sul crimine” avrebbe generato un sacco di voti, tranne se si fosse introdotto in una vera guerra –wow! Ovviamente sappiamo tutti che ha funzionato. Nixon è stato eletto Presidente e dal 1970 ha convinto il Congresso a far passare la legge secondo la quale, tutti i dipartimenti di polizia ricevessero massicci fondi di investimento utili per assumere personale aggiuntivo, da utilizzare nella sua guerra alle droghe. Per darvi un’idea di quanto fossero consistenti questi benefici monetari, durante il 1964 la Polizia del New Jersey aveva 1.700 ufficiali e una unità narcotici di sette uomini. Quel numero è sempre sembrato adeguato a fare il lavoro che dovevamo fare. Sei anni dopo, quando stavo cercando di entrare nella narcotici, cioè nel 1970, in una notte di Ottobre saltammo da una squadra narcotici di 7 persone, ad una di 76, e divenne un dipartimento a sé. Tutti pagati dalle tasse federali. Lo stesso programma venne applicato a tutti i dipartimenti dello Stato. Quando un’organizzazione viene incrementata di undici volte, ci si aspetta certamente qualcosa. Da quando la polizia viene giudicata principalmente in base al numero di arresti che compie, significa che ci si aspettava come minimo un incremento per crimini di droga di undici volte, anche negli arresti nell’anno a venire, rispetto al passato 1969.

Un terzo dei 76 nuovi detective furono designati come “agenti sotto copertura”. Successe che io capitai in quel terzo, ed è così che passai i successivi 14 anni della mia vita. Dopo un corso di addestramento di due settimane cominciammo ad essere operativi in strada. Tutti si aspettavano numerosi arresti di venditori di droga. Non era un lavoro facile nel 1970 e per un buon paio di ragioni.

Primo, non avevamo davvero un grosso problema di droga nel 1970 e quel problema esisteva principalmente con le droge morbide, leggere, quali marijuana, hashish, LSD, psilocibi (funghi allucinogeni). Le droghe dure come la metamfetamina, cocaina ed eroina erano alquanto sconosciute prima di allora – almeno rispetto ad oggi. Le droghe a quei tempi, erano una seccatura piuttosto che una minaccia alla società. Per esempio nel 1970, la gente moriva meno a causa delle droghe che non per incidenti domestici, come cadere per le scale o restare soffocati dal cibo. Secondo, né noi o i nostri capi, allora, avevamo un’idea di come combattere una guerra alle droghe. I boss della polizia di una cosa erano certi, comunque; sapevano come mantenere grassa la vacca federale nel personale cortile. Perseguivano l’assoluta necessità di dover combattere la guerra alle droghe. Così, poco più avanti, fummo incoraggiati a mentire sulla maggior parte delle nostre statistiche e così facemmo. Siccome i nostri spacciatori non si trovavano nella maggior parte degli angoli delle strade, e non in tutte le nostre scuole –come ora– il bersaglio dei nostri agenti sotto copertura venne diretto su piccoli gruppi di studenti al college, alle superiori e in mezzo a chi si “immergeva ed emergeva” sporadicamente nelle droghe –il termine con cui si identificavano le persone che sperimentavano con le droghe: “dippers & dabbers”.

Così finimmo per arrestare persone che erano principalmente degli utilizzatori incolpandoli come se fossero trafficanti. Abbiamo volutamente esagerato l’ammontare di droghe sequestrate, addizionando il peso di agenti di taglio (lattosio, mannitol, amido e emollienti/emulsionanti) al peso della droga illegale. Così, avremmo dovuto prendere un’oncia (31 grammi circa) di cocaina e quattro libbre (poco più di 1,6Kg) di lattosio e da qualche parte, tra il posto dove avvenne il sequestro e il laboratorio di polizia, tutto si trasforma magicamente in cocaina. Abbiamo anche gonfiato il costo delle droghe sequestrate, introducendo ai media il “valore stimato in strada”. I media hanno aiutato molto l’escalation di importanza della faccenda. Ad esempio, nel 1971 stavo comprando dosi di cocaina di un’oncia (30 grammi) al costo di 1500 dollari l’una ma, dal momento in cui venne introdotto il sistema di “valutazione del costo in strada”, per una sola oncia i media innalzarono il costo, arrivando molto vicino a 20.000 dollari. Pensatela un po’ più in grande ed ecco che la guerra alle droghe diventa assolutamente necessaria. I soldi dei contribuenti avrebbero continuato ad innaffiare i nostri dipartimenti e i nostri capi ne sarebbero stati felici. Chi si faceva domande sulle nostre stime e a chi sarebbero state indirizzate quelle stesse domande? Noi stessi. Avremmo sempre e comunque potuto giustificare tutto.
In ogni caso, man mano che la guerra alle droghe avanzava, non avevamo più bisogno di mentire a noi stessi, sul fatto che stesse peggiorando le cose. Ogni anno che passava di questa guerra continuativa, il “problema droga” diveniva esponenzialmente più terribile –un effetto non voluto, causato dalla guerra stessa, che pubblicizzò e ingrandì uso e vendita delle droghe e raggiunse il picco di interesse in un una larga porzione di giovani del nostro Paese. In molti casi, la cultura della droga ritratta nei film, al cinema e in TV, sembrava scatenare un’eccitazione romantica negli adolescenti americani. Molti ragazzi poveri delle grandi città cominciarono a vedere nello spacciatore un modello guida –e l’unica via d’uscita dalla povertà e dal ghetto. Lo spacciatore era l’unico della comunità del ghetto a potersi permettere grosse e potenti auto, belle donne, soldi da buttare e tempo libero per farlo.

Interpretando le armi (LORD OF WAR e THE INTERPRETER)

Ieri sera non c’era niente in TV. Una novità, direte voi… infatti sono uscito ad affittare due film. Tutti quelli che conosco e che li hanno visti, me li hanno consigliati. Quindi mi affretto e me li sparo entrambi in una serata svacca di un lunedì post-elezioni politiche fiacche e deludenti, credendo e sperando che potessero togliermi dalla testa eventuali idee sovversive miste a disprezzo verso il resto del mondo che sta fuori dalle mie (ristrette) mura. Chissà poi cosa diavolo mi aspettassi di trovare, ad essere sinceri.
A puttane le chiacchiere! Parliamo dei due film, e delle loro storie:

Lord Of War, con Nicholas Cage (aka Nicola Coppola, nipote di Francis Ford Coppola), riesce a tenerti incollato allo schermo per tutto il tempo a colpi di scena e situazioni al limite del paradossale. La trama è questa: un giovane ucraino emigrato negli USA, Yuri Orlov (il film si ispira a lui; un po’ come fu il film “Blow”, con Johnny Depp e la bella Penelope Cruz, nel drammatico –e romantico– racconto sulla vita del trafficante di droga George Jung), decide che forse è il venuto il momento di mettersi in affari per sbarcare il lunario. Lo fa in uno dei modi migliori: entrando in contatto con costruttori e venditori di armi, diventando trafficante internazionale a sua volta. Tra mille vicissitudini vediamo anche come il traffico di armi sia in qualche modo –diretto o indiretto– legato al traffico di droga (ma và?), ma tragedie famigliari, rapporti con genitori e mogli vittime di incredibili verità mai raccontate e stermini di massa (cruenti e difficili da guardare, anche se sono in un film riescono ad essere molto realistici e i machete fanno paura anche su piccolo schermo) portati avanti da dittatori dell’Africa nera occidentale che di umano hanno solo la forma, rendono il film una urlante denuncia, solida e cruda, verso quegli uomini di cui tutti conosciamo l’esistenza e che tutti disprezziamo, in un modo o nell’altro. Personalmente mi fanno più schifo i venditori di armi che i trafficanti di droga, ma è una questione di gusti personali, credo. Il fatto è che in questo film (non che ce ne fosse bisogno per i più “sgamati” ma alla fine un chiarimento è sempre utile) si comprende benissimo il motivo per il quale in materia di droga gli spacciatori e i trafficanti vengono sempre perseguiti, inserendo nella caccia anche le relative famiglie, mentre ai venditori di armi non ci è dato sapere cosa succede; probabilmente, come dice Yuri Orlov “… fa troppo comodo avere a disposizione una fonte inesauribile di armi offensive da cui possano attingere tutti gli eserciti del mondo…” (tranne quello della Salvezza). Le sue parole arrivano come una sferzata violenta di aria gelida in pieno agosto: “… il mio è un lavoro, esattamente come i venditori di auto e di alcool. Solo che i loro prodotti uccidono più persone delle armi, e le armi hanno anche la sicura. Molte volte sono a diretto riporto del Presidente degli Stati Uniti.” Spiritoso certo, ma (quasi) vero. Alla fine, direte voi? Alla fine, ecco cosa m’ha lasciato ‘sto film: un vago interesse per il cinema di denuncia, apprezzamento verso uno degli attori che preferisco ultimamente e molto amaro in bocca riguardo il romanticismo con cui vengono descritti uomini senza scrupoli che non hanno alcun rimorso, schieramento politico (e in quel campo se non hai una fazione a cui legarti diventi carne da macello) o interesse verso la vita. Loro vogliono i soldi, sempre di più. Quindi: film su spacciatori, trafficanti di armi, criminali di ogni sorta (“Ronin”, mise in risalto il lato romantico dell’essere un rapinatore internazionale –paragonando il criminale ad un samurai che ha perduto il suo padrone–, e “Ocean’s Eleven” mise l’accento sul lato giocoso dei rapinatori, un umorismo per molti versi noir) sono molto interessanti ma certo lontani dalla realtà dei fatti. Sono brutte e tristi storie, raccontate bene e false come pietre tombali sulla vita (dimmerda) che quella gente (dimmerda) conduce, facendo diventare il nostro mondo sempre più dimmerda, perché è grazie a questo romanticismo del ciufolo-a-pelle che ci ritroviamo con ragazzi che sognano ad occhi aperti vite criminali, sfrecciando su auto veloci accompagnati da belle donne, con tanti soldi a disposizione e tempo libero in cui sprecarli… Forse la vita non va così. Oppure va così e a noi non sta bene perché non siamo riusciti a farla noi, quella vita. Una cosa è certa però: il male non vince contro il bene, il male vince sempre.

The Interpreter, con la sempre più bella, brava e gelida Nicole Kidman, ha anch’esso un lato molto interessante di denuncia. Il posto è New York City (palazzo ONU), nel quale la protagonista Silvia Broome (N. Kidman) lavora come interprete e scopre accidentalmente che qualcuno complotta per l’omicidio di un capo di stato africano parecchio incazzato e anche un po’ genocida (ha appena fatto fare appezzi 8000 persone e per questo viene citato dalle Nazioni Unite come criminale di guerra colpevole di pulizia etnica). Lei fa di tutto per denunciare il fatto, ma poi si scoprono gli altarini e qui “sonocazziiii…”. Colpi di scena notevoli, film montato molto bene da questo punto di vista, e dialoghi il più delle volte un po’ lenti –le indagini dell’agente speciale del FBI interpretato dall’ottimo Sean Penn sono miste a pianti strazianti e scene melodrammatiche: lui ha perso da meno di un mese la moglie in un incidente d’auto…) fanno di questo film un racconto intenso ma privo di una qualche analogia con la verità che ci circonda. Nella storia, raccontata molto bene ma (forse?) da un punto di vista troppo personale (quello della protagonista a cui è stata uccisa tutta la famiglia) si evince che non sempre la giustizia sommaria dà buoni frutti, soprattutto se perseguita verso pazzi dittatori. Ma gli autori del film davvero pensano di darcela a bere con la favoletta che i veri criminali di guerra vengano processati secondo canoni dettati dalla giustizia internazionale? Non è che magari si scende a compromessi per evitare brutte faccende diplomatiche con paesi governati da squilibrati assassini? Forseforse non sarebbe il caso di smetterla con film denuncia di questo tipo, verso dittatori africani (e poi mediorientali, e poi ancora sudamericani… ) quando poi proprio l’America è uno dei paesi meno liberi al mondo? (certo, nessuno si macchia di genocidio in america ma allo stesso tempo G.W.Bush è uno dei più grossi esportatori di armi “democratiche” del mondo). Qui il dubbio che viene lasciato alla fine: la denuncia è verso i criminali di guerra che compiono stermini di massa e pulizie etniche oppure è contro i metodi (forse) troppo raffinati, quasi civili, di fare giustizia delle Nazioni Unite?

Comunque basta, il senso è: dateci sangue, violenza e morte! E il metal vincerà.

Gallina vecchia = brodaglia eccellente! (JETHRO TULL)

La musica va a periodi, più o meno come la vita. In questo periodo sto vivendo il momento delle riscoperte del passato (o delle nostalgie musicali, se vogliamo fare i romanticoni).
Per tutta la giornata di oggi ho avuto tra le orecchie le incalzanti e beffarde note di un magnifico lavoro artistico di una band che non è ancora deceduta e che difficilmente si toglierà dalle scatole: Jethro Tull (nome preso da un agronomo inglese del Seicento). Il lavoro di cui scrivo è stato chiamato “Aqualung” ed è targato 1971. Si tratta di una vera figata in cui negli anni ’70 non era difficile incespicare
Il nome del disco è lo stesso della prima traccia e la copertina, raffigurante un clochard –un accattone, un barbone– paurosamente somigliante a Ian Anderson (leader del gruppo e principale compositore, flautista, pianista e cantante) è una delle più famose e riconoscibili del panorama rock inglese. Aqualung può significare –in questo contesto– autorespiratore, ed è motivato dal fatto che Ian Anderson una volta rimase impressionato dal rumore sibilante del respiro di un barbone incontrato per strada. A differenza di quanti sostennero, in passato, che il disco è un album incentrato sulla persona del leader della band in verità il lavoro di concept è sulla religione: se ne parla in termini di mezzo di controllo sociale, redenzione dello spirito, rapporto con l’onnipotente, seghe mentali che ci si fa pensando al divino e mille altre cose molto interessanti. In effetti la personalità spiccata dei cinque musicisti non è molto da meno, presentandosi agli spettacoli (ancora oggi) con costumi del Settecento inglese (o quantomeno stravaganti) e inscenando commedie teatrali durante le esibizioni. Molto più interessante è la musica però, che sin dalla prima traccia ci fa capire come il sound rock/blues, stravolto da brevi arrangiamenti jazz e progressive (soprattutto progressive), resti solo un ricordo. Verranno intensificati e armonizzati con il concetto musicale del disco verso la metà, aumentando e confermando la sensazione secondo cui Ian Anderson sia sempre stato un grande compositore di musica elegante e raffinata, terribilmente accattivante e orecchiabile al limite del commerciale senza mai diventarlo. E’ espressione dell’elevata cultura musicale e spiccata cifra stilistica della band tutta. Per l’intero disco vagabondaggi in territori folk rock e strumentali acustici alzano ancora di più il livello delle composizioni. La apripista “Aqualung” con i suoi alti e bassi, lenti e veloci, è incalzante e sfodera energia nello splendido, breve, melodico ed efficacissimo solo di chitarra. E’ un tributo alla vita dei clochard, un caldo saluto a tutti quelli che vivono al freddo d’inverno e all’arsura estiva, sotto le stelle e sotto la pioggia, sdraiati su panchine o vicino ai bagni delle stazioni. Difficile capire cosa c’entrino i barboni con la religione tema portante del disco, ma c’entrano. “My God” è uno dei picchi musicali che Ian Anderson ci regala. Al di là delle preferenze personali di chi non vuole nella musica rock flauti e pianoforti, in tutto il disco i punti di forza sono invero questi due strumenti. Proprio il flauto è il principale “parlatore”, con Ian Anderson che soffia, parla, lancia messaggi e urla nel flauto facendo vibrare anche noi che ascoltiamo. “Hymn43” e “Locomotive Breath” sono invece dei veri e propri cavalli di battaglia live. Avendo avuto l’enorme fortuna di assistere ad un loro spettacoloso spettacolo in chiusura del Pistoia Blues 1999 posso confermare, anche senza alogena puntata in faccia e pistola alla tempia, che trattasi di pezzi che in esibizione live diventano irraggiungibili. In effetti molte delle band odierne dell’età dei Jethro Tull hanno parecchie difficoltà a trascinare il pubblico come fanno loro, Deep Purple compresi (visti anche loro al Pistoia Blues ’99, ma niente da fare contro i JT). Incomincio a credere che sia una delle formazioni invecchiate meglio, nonostante i lavori dagli anni ’80 in poi non siano assolutamente paragonabili ai complessi e magnifici “strumentalismi” che negli anni ’70 i Jethro Tull erano in grado di proporci. Però volevo spendere due righe su “Locomotive Breath” –qua è facile perdere il filo perdio… (tanto per rimanere in tema)– ecco: il piano introduttivo che in un crescendo molto emozionante alternato alla chitarra blues di Martin Barre (dal disco “Stand Up” del 1969 ormai fisso nei JT e alter ego di Ian) porta ad un incalzante ritmo in pieno stile progressive rock, crea un bell’amalgama che si trasforma in un affronto verso Ian Anderson. Lui si incazza parecchio e si piazza al flauto, sprigionando un’energia incredibile e trascinante, finendo per esaltare l’ascoltatore con un solo memorabile, condito di versi, sbeffeggi, risate e singhiozzi. Da ovazione da stadio e lacrime agli occhi. Esistono diverse versioni, riprodotte da formazioni heavy metal (e senza flauto), prima fra tutte la molto valida interpretazione dei teutonici Helloween, segno che i Jethro Tull hanno interessato e coinvolto molte sponde musicali.
Per molti è il capolavoro della band (me compreso), per molti altri questo posto lo occupano perle di assoluta raffinatezza come “Thick As A Brick” del 1972, la magnus opus di due brani da oltre venti minuti l’uno, o “A Passion Play” del 1973, forse il più progressivo ed estroverso tra le composizioni di Anderson.
Andando oltre le considerazioni personali e i gusti musicali, resta un fatto: da questo disco in poi si è cominciato a sentire in giro il termine “hard folk progressivo”. E non è che suoni proprio malissimo. Complimenti, Mr. Anderson