martedì 11 aprile 2006

Interpretando le armi (LORD OF WAR e THE INTERPRETER)

Ieri sera non c’era niente in TV. Una novità, direte voi… infatti sono uscito ad affittare due film. Tutti quelli che conosco e che li hanno visti, me li hanno consigliati. Quindi mi affretto e me li sparo entrambi in una serata svacca di un lunedì post-elezioni politiche fiacche e deludenti, credendo e sperando che potessero togliermi dalla testa eventuali idee sovversive miste a disprezzo verso il resto del mondo che sta fuori dalle mie (ristrette) mura. Chissà poi cosa diavolo mi aspettassi di trovare, ad essere sinceri.
A puttane le chiacchiere! Parliamo dei due film, e delle loro storie:

Lord Of War, con Nicholas Cage (aka Nicola Coppola, nipote di Francis Ford Coppola), riesce a tenerti incollato allo schermo per tutto il tempo a colpi di scena e situazioni al limite del paradossale. La trama è questa: un giovane ucraino emigrato negli USA, Yuri Orlov (il film si ispira a lui; un po’ come fu il film “Blow”, con Johnny Depp e la bella Penelope Cruz, nel drammatico –e romantico– racconto sulla vita del trafficante di droga George Jung), decide che forse è il venuto il momento di mettersi in affari per sbarcare il lunario. Lo fa in uno dei modi migliori: entrando in contatto con costruttori e venditori di armi, diventando trafficante internazionale a sua volta. Tra mille vicissitudini vediamo anche come il traffico di armi sia in qualche modo –diretto o indiretto– legato al traffico di droga (ma và?), ma tragedie famigliari, rapporti con genitori e mogli vittime di incredibili verità mai raccontate e stermini di massa (cruenti e difficili da guardare, anche se sono in un film riescono ad essere molto realistici e i machete fanno paura anche su piccolo schermo) portati avanti da dittatori dell’Africa nera occidentale che di umano hanno solo la forma, rendono il film una urlante denuncia, solida e cruda, verso quegli uomini di cui tutti conosciamo l’esistenza e che tutti disprezziamo, in un modo o nell’altro. Personalmente mi fanno più schifo i venditori di armi che i trafficanti di droga, ma è una questione di gusti personali, credo. Il fatto è che in questo film (non che ce ne fosse bisogno per i più “sgamati” ma alla fine un chiarimento è sempre utile) si comprende benissimo il motivo per il quale in materia di droga gli spacciatori e i trafficanti vengono sempre perseguiti, inserendo nella caccia anche le relative famiglie, mentre ai venditori di armi non ci è dato sapere cosa succede; probabilmente, come dice Yuri Orlov “… fa troppo comodo avere a disposizione una fonte inesauribile di armi offensive da cui possano attingere tutti gli eserciti del mondo…” (tranne quello della Salvezza). Le sue parole arrivano come una sferzata violenta di aria gelida in pieno agosto: “… il mio è un lavoro, esattamente come i venditori di auto e di alcool. Solo che i loro prodotti uccidono più persone delle armi, e le armi hanno anche la sicura. Molte volte sono a diretto riporto del Presidente degli Stati Uniti.” Spiritoso certo, ma (quasi) vero. Alla fine, direte voi? Alla fine, ecco cosa m’ha lasciato ‘sto film: un vago interesse per il cinema di denuncia, apprezzamento verso uno degli attori che preferisco ultimamente e molto amaro in bocca riguardo il romanticismo con cui vengono descritti uomini senza scrupoli che non hanno alcun rimorso, schieramento politico (e in quel campo se non hai una fazione a cui legarti diventi carne da macello) o interesse verso la vita. Loro vogliono i soldi, sempre di più. Quindi: film su spacciatori, trafficanti di armi, criminali di ogni sorta (“Ronin”, mise in risalto il lato romantico dell’essere un rapinatore internazionale –paragonando il criminale ad un samurai che ha perduto il suo padrone–, e “Ocean’s Eleven” mise l’accento sul lato giocoso dei rapinatori, un umorismo per molti versi noir) sono molto interessanti ma certo lontani dalla realtà dei fatti. Sono brutte e tristi storie, raccontate bene e false come pietre tombali sulla vita (dimmerda) che quella gente (dimmerda) conduce, facendo diventare il nostro mondo sempre più dimmerda, perché è grazie a questo romanticismo del ciufolo-a-pelle che ci ritroviamo con ragazzi che sognano ad occhi aperti vite criminali, sfrecciando su auto veloci accompagnati da belle donne, con tanti soldi a disposizione e tempo libero in cui sprecarli… Forse la vita non va così. Oppure va così e a noi non sta bene perché non siamo riusciti a farla noi, quella vita. Una cosa è certa però: il male non vince contro il bene, il male vince sempre.

The Interpreter, con la sempre più bella, brava e gelida Nicole Kidman, ha anch’esso un lato molto interessante di denuncia. Il posto è New York City (palazzo ONU), nel quale la protagonista Silvia Broome (N. Kidman) lavora come interprete e scopre accidentalmente che qualcuno complotta per l’omicidio di un capo di stato africano parecchio incazzato e anche un po’ genocida (ha appena fatto fare appezzi 8000 persone e per questo viene citato dalle Nazioni Unite come criminale di guerra colpevole di pulizia etnica). Lei fa di tutto per denunciare il fatto, ma poi si scoprono gli altarini e qui “sonocazziiii…”. Colpi di scena notevoli, film montato molto bene da questo punto di vista, e dialoghi il più delle volte un po’ lenti –le indagini dell’agente speciale del FBI interpretato dall’ottimo Sean Penn sono miste a pianti strazianti e scene melodrammatiche: lui ha perso da meno di un mese la moglie in un incidente d’auto…) fanno di questo film un racconto intenso ma privo di una qualche analogia con la verità che ci circonda. Nella storia, raccontata molto bene ma (forse?) da un punto di vista troppo personale (quello della protagonista a cui è stata uccisa tutta la famiglia) si evince che non sempre la giustizia sommaria dà buoni frutti, soprattutto se perseguita verso pazzi dittatori. Ma gli autori del film davvero pensano di darcela a bere con la favoletta che i veri criminali di guerra vengano processati secondo canoni dettati dalla giustizia internazionale? Non è che magari si scende a compromessi per evitare brutte faccende diplomatiche con paesi governati da squilibrati assassini? Forseforse non sarebbe il caso di smetterla con film denuncia di questo tipo, verso dittatori africani (e poi mediorientali, e poi ancora sudamericani… ) quando poi proprio l’America è uno dei paesi meno liberi al mondo? (certo, nessuno si macchia di genocidio in america ma allo stesso tempo G.W.Bush è uno dei più grossi esportatori di armi “democratiche” del mondo). Qui il dubbio che viene lasciato alla fine: la denuncia è verso i criminali di guerra che compiono stermini di massa e pulizie etniche oppure è contro i metodi (forse) troppo raffinati, quasi civili, di fare giustizia delle Nazioni Unite?

Comunque basta, il senso è: dateci sangue, violenza e morte! E il metal vincerà.

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