lunedì 24 agosto 2009

MTB SULL'APPENNINO TOSCO-ROMAGNOLO

Era da tempo che non mi capitava un giro così.
Siamo partiti da San Benedetto In Alpe, ultimo paese sulla "frontiera" Romagnola e Toscana, a circa 300 metri di quota.
Una strada in salita, che parte su-bi-to, e mica una breve piana con cui scaldarsi o rendere le gambe un po' agili per affrontare il dislivello, macchè! Quando poi sotto un sole che picchia come un martello ti investono 35° di riverbero di luce bianca dal basso di quella strada sterrata e sassosa insomma... non è che sia stato divertentissimo, ma fa parte del gioco. Su una lunghezza di 8km, la salita va per quasi 800 metri: una pendenza media di circa il 10%, al termine della quale si giunge alla prima sosta, dopo un'ora e mezza di pedalata.









Un toscano molto gentile ci spiega alcuni punti interessanti da cui prendere sentieri più o meno impegnativi, alcuni "da fare rigorosamente a piedi!". Ovviamente non ci pensiamo manco per il cazzo (di farli a piedi... siamo in bici che diamine!! E questo è quello che si penserà per la prossima ora, almeno)

Prima però prendiamo la strada che, dalla foto di centro, parte verso sinistra: si cerca dell'acqua -ormai alle ultime gocce- alla Fonte del Paradiso. Un sentiero carrabile (dai trattori o da jeep preparate) ci porta in mezzo ad uno splendido bosco di faggi e castagni in cui, scendendo a piedi per circa 20 metri, si arriva ad una fontanella tra le rocce. Acqua fredda e ferrosa, tipico liquido potabile di montagna!
Fatta l'acqua, cioè svuotate le vesciche e riempite le borracce, si riparte in direzione inversa per riprendere il sentiero che ci avrebbe portato ai 3 Faggi. Una single track molto tecnica, impegnativa e, ovviamente, in salita. Ci preoccupa meno il fatto che ormai il sole è un ricordo, anche se vicino: siamo infatti immersi nell'ombra del bosco e ci saranno almeno 7-8 gradi di differenza e l'aria fresca ci fa salire con buona lena. Da dietro sento che i due mi rincorrono chiedendosi come fa un tizio di città ad arrampicarsi come una capra di montagna su per quelle salite strette, ripide, piene di radici che sbucano ovunque e sassi che vengono giù come se li lanciasse qualcuno apposta per darti fastidio. Il fatto è che questi sono i miei percorsi ideali, adoro
le salite, soprattutto se difficili e che mettono in crisi le gambe e la tecnica di guida.








Alla fine della salitaccia ci aspetta un cancello di legno e filo spinato che costringe alla sosta; sarà il primo di una lunga, ma non troppo, serie di passaggi a livello. Verranno poi ricordati come un segno di misericordia dagli dei dei boschi (altrimenti conosciuti come pastori di vacche) i quali delimitando i pascoli, danno un sollievo alle gambe dei ciclisti sciamannati come noi.
La discesa è divertente, poco impegnativa e rapida. Si superano i 40 orari, che in fuoristrata sono più o meno paragonabili ai 70 all'ora di una bici da strada. Sassi, pietre e pezzi di rami sbattono con violenza contro il telaio e le ruote.












Un'altra breve sosta per bere, far due foto e gestire la stanchezza delle gambe e la fame selvaggia che ormai fa vedere doppio: sono circa le 5 del pomeriggio ed è dall'una e mezza che si pedala e non si mangia (almeno io) niente dalla mattina...
Si riparte e si cominicia a fare un discesone interessante che sarebbe stato divertentissimo se non fosse stato per delle vacche al pascolo che un VERO uomo dei boschi gestiva con una tranquillità disarmante.










Forse però era troppo tranquillo perché al nostro arrivo le vacche hanno iniziato a correre; lui, con atletico gesto, e mente ci dice di superarle e poi fermarle, si impiglia i coglioni nel filo spinato che cerca di superare e ci dice che le avrebbe portate nel prato che voleva raggiungere. Il problema è che le vacche saran state 'na decina. Con tanto di vitelli al seguito, quindi per noi impossibile da superare per i seguenti motivi:

1. erano delle vacche gigantesche.
2. avevano delle corna gigantesche
3. c'erano i vitelli. L'istinto di sopravvivenza e conservazione della specie trasforma delle stupide vacche in tori selvaggi da combattimento.
4. le ultime da superare, cioè le prime della fila, erano DAVVERO lontane.
5. correvano tutte come delle vacche impaurite e noi in bici faticavamo a stargli dietro, in discesa.
6. si agitavano troppo.

Per farla breve, arriviamo ad un trattore (che era probabilmente del vaccaro), lo superiamo, ce ne dimentichiamo e continuiamo a portargli le vacche verso valle. Lui dietro a bestemmiare e infamarci. Ad un cero punto decidiamo che forse è meglio far decidere alle vacche dove fermarsi e, incredibile a dirsi, si fermano alla stalla, a casa loro. Cioè dove NON voleva portarle il pastore, perché mi pare di aver capito che lui le volesse fare ancora pascolare. Insomma, giornata rovinata per il pastore, latte rovinato delle vacche per lo spavento e la corsa, discesa rovinata per noi che volevamo mollare i freni...

Ma alla fine si riprende velocità e si raggiunge un bel sentiero dove mollare davvero i freni. Ovviamente la maledizione del pasore di vacche ci ha colpito e, altrettanto ovviamente, come quasi sempre per ogni mia uscita in fuoristrada, buco. Ma non buco e basta: spacco del tutto la valvola della camera d'aria. Ecco fatto. Discesa di nuovo rovinata. Ma uno dei nostri ha la soluzione al male: mi dà una camera di riserva, perché i miei kit di riparazione non servono a un cazzo, adesso.

Però ora avevo anche paura che ci corresse dietro col trattore, ci raggiungesse e incurante ci passasse sopra lasciandoci lì nel bosco. Tanto alla fine su quelle strade chi ti trova più?! Per lui non sarebbe nemmeno una seccatura...

Si riparte dopo una mezz'ora. si arriva in brevissimo tempo alla strada asfaltata, breve tratto in cui posso essere certo che la botta pazzesca al cerchio posteriore che mi ha distrutto la camera d'aria non ha rovinato il cerchio in modo grave, forse è solo un po' ovalizzato ma non dà eccessivo fastidio: si sistemerà. Insomma, in pochi km si giunge ad una cascata sotto un ponte di pietra, dietro un rifugio, una casa di pietra antica bella come i posti che abbiamo visto finora.










Si decide di fare un bagno, nella vasca di pietra piena d'acqua fredda di sorgente di montagna che si vede al disotto del ponte di pietra. Una roba geniale e rigenerante.









Un geniale tipo di Forlì ci dà suggerimenti di dove andare il giorno dopo e dei sentieri da prendere, ci diffida dai corridori (ci mancherebbe!) e ci dice anche che all'agriturismo dove si sta andando si mangia molto bene e si spende il giusto. Scopriremo il giorno dopo che da quelle parti il giusto è un decimo di quanto potresti spendere per una cena da pezzente medio in una grande città (qualcuno ha detto Milano?).
Poi ci si asciuga e si va verso l'agriturismo: una grossa e vecchia casa di pietra dove una signora che secondo me sulle spalle ha più canne che anni, ci dice che lì non c'è posto (avevamo prenotato!) e che quindi dormiamo in paese, a Premilcuore. Ma a noi va benissimo, a patto che ci faccia mangiare subito appena possibile. Siamo distrutti, io sto in piedi per scommessa e gli altri due non sono da meno. Io e Maurizio optiamo per un bicchiere di vino che fa rinascere (doping? se a Pantani avessero fatto bere vino, prima e dopo le corse, ora forse non si parlerebbe di lui in modo offensivo).
A cena ci si spazzola due fiamminghe di tagliatelle al ragù, una fiamminga di grigliata mista abbastanza grande da soddisfare tutti e tre, una bottiglia e mezza di vino, dolce, caffè, ammazza caffè. Poi si esce. Birra. Gran vita in un paese mondano e notturno, che conta un numero impressionante di persone, almeno 50. Il sonno però chiede vendetta, e le gambe non tengono più. Si va a letto, convinti che il giorno dopo non saremmo andati molto lontano: la meta è il Passo del Muraglione e la Valle dell'Acquacheta. Mica uno scherzo arrivarci.

Per ora posso concludere che ho visto posti emozionanti, aperture su valli fermate nel tempo e boschi verdissimi e fitti, dove all'interno quasi non riusciva a filtrare la luce del sole.

La seconda puntata quando posso scrivere di nuovo.

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