martedì 10 giugno 2008

AMSTERDAM / P.1 - 23/5/8

Di viaggi ad Amsterdam se ne fanno parecchi. Di vario tipo.

Il primo ha avuto termine con l'arrivo all’aeroporto di Schiphol verso le 11.15. Il tempo di capire come si esce dall’aeroporto, ché la gayna già spingeva fuori dalle mutande, e si realizza subito che sarà un weekend uber quasi alles. Ci becchiamo un tempo fenomenale, con un sole così splendente che se non stai attento ti becchi una scottatura... e sarebbe stato davvero geniale se avessimo portato a casa un’insolazione da Amsterdam, ma io ci ho la carnagione terrona e non mi scotta nemmeno il sole d’Africa. Si va prima in hotel (in Botel, un battello-hotel... ma quanto son pettinati gli Amsterdamiani?), da cui si gode il bel panorama sul bacino con la città di Amsterdam a sud oltre il canale e l’uscita sul Mare del Nord (a nord, cazzo, a nord!). Un battello di Greenpeace sulla destra e un sottomarino russo del dopoguerra di fronte al finestrino completano il panorama. Il sommergibile è nero, massiccio, incazzato, certamente metal e con un’enorme falce&martello rosso fuoco stampata sul muso. Inoltre un bel pub sul pontile, tutto in vetracciaio, completava il quadretto della vista dal finestrino, ma era troppo pettinato per esser preso in considerazione da dei pezzenti come noi.









Amsterdam è una splendida città, affascinante, e col sole guadagna mille punti; non è certo il posto per andare a farsi solo le canne. Però se ci passate un salto al coffee shop fatelo, non fate i pezzenti che siete e spendeteli ‘sti 15 euro! Tanto, male che vada partecipate alla causa, sostenendo lo sviluppo della felicità altrui ma, se vi va bene, sosterrete anche la vostra. Ovviamente noi ci siamo astenuti dal consumare certe sostanze... Siamo contrari, noi.











Il primo pomeriggio lo impieghiamo a capire come si gira per la città, dove stanno i punti cardinali perché ci si continua a perdere e se non fosse stato per quegli splendidi scritti sui marciapiedi (where are you?) non ci sarebbe nemmeno venuto in mente di consultare le cartine (cioè la mappa... ). Nonostante io ci sia già stato, tenere traccia col sole è come scrivere il tuo nome sul bagnasciuga: prima o poi qualcosa te lo porta via. Nel caso di Amsterdam, se non è una nuvola, è l’ingresso in un coffee shop, cosa che accade praticamente subito, giusto per provare l’esperienza e l’ebbrezza della prima volta (…)
Si va quindi al Soft Temple, ma mica per decisione studiata, ci siam finiti per caso sulla Kalverstraat. Il coffee è su 3 piani, ognuno dei quali minuscoli, in cui divanetti e panche abbastanza spaziose si alternano a sgabelli e tavolini da nano; la musica è pettinata (soul, r&b, rock anni '70 e metal) e il tipo si fa i cazzi suoi qb; fa bene.








Il resto del pomeriggio francamente mi sfugge, ricordo che abbiamo vagato come pazzi per il centro cercando di ritrovare la strada, facendo foto geniali di posteggi improbabili per bici, attracchi kilometrici per battelli minuscoli e ponti di pietra e ogni tanto io mi ricordavo del coffee shop Rokerij della Lange Straat che non sapevo dove cazzo fosse e che però gli giravo intorno di continuo. Si vagava in tondo soprattutto per quell'aria di adorazione ed estasi che avevamo tutti nei confronti delle donne di Amsterdam: mai viste tante bellezze in una volta sola in una città del Nord (beh oddio magari esagero, magari era l'effetto verde!)... sono tutte alte, quasi tutte biondissime e con lineamenti regolari e delicati, molto femminili, ma non è tanto questo; è più un fatto di atteggiamento, attitudine e attenzione ai particolari. Al di là della questione abbigliamento (meglio di tedesche e inglesi, mai come le italiane) sono eleganti nei modi di fare, sportive quando girano per la città, spiritose quando gli chiedi un’informazione e ti rispondono in un’inglese perfetto: tu dici “scusa vai più piano che non ti seguo” e lei di rimando “per imparare bene l’inglese devi vivere ad Amsterdam”. Ecco, non volevo dire proprio quello, magari se usi i freni della bici riesco anche a parlarti ma va bene, colgo l'ironia...











Dopo esserci sbrindellati, belli sciolti, in un parco vicino, prima di cena si fa un aperitivo a base di prodotti locali, in un coffee shop. Credo fosse l'Abraxas, molto carino, su due piani con tavolini in legno. Ci sono due ragazze con un tizio. Forse son tedeschi ma non ne sono sicuro; le due donne sono entrambe brune e decisamente carine, ma fumano come delle bestie attaccate ad un bong che non smetto di fissare. Ad un certo punto, una delle due si allunga verso di noi (evidentemente anche gli altri appezzi dei miei companeros fissano qualcosa che -forse!- non è il bong) e chiede "volete il bong?", noi "no", "e che vi guardate allora?"...
Ce ne andiamo a cena. Siamo abbastanza sfatti e ordiniamo tutto in duplice copia cercando di capire se stiamo ordinando con lo stomaco, con la testa o con i culi che ci siamo aperti a furia di fumare. Si prende troppa roba e ovviamente si fa fatica a finire, quindi per digerire si va in un coffee shop e a questo punto ogni ricordo perde sostanza, forma e vigore. Francamente non so più dove siamo finiti ma ricordo una fantastica sensazione di leggerezza e di felicità mista ad ebbrezza sin dalla prima apertura delle palpebre, cosa che non credevo possibile ad un'ora disumana come le 9 dopo esserci coricati circa alle 2, nello stato in cui eravamo. Il sonno della prima notte è stato conciliato dalle musiche di Mammatus, album s/t e Dead Meadow, album Old Growth.

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