The Dark Side Of The Moon è il più bel disco rock di sempre.
Mentre lo ascoltavo per la centomilionesima volta, The Dark Side Of The Moon ha evidenziato maggiormente proprio gli aspetti oggettivi rispetto alle emozioni scatenate in me ad ogni ascolto precedente, che sono di mia esclusiva proprietà. Come molti prima di me hanno già capito, questo non è solo un bellissimo disco di musica rock e psichedelia; innanzitutto, perché già dal 1972 i Pink Floyd si stavano allontanando dagli schemi rigidi della psichedelia, adottata fino a quel tempo: in TDSOTM le divagazioni strumentali e la psichedelia hanno un collegamento diretto con la musica e gli argomenti dei testi delle canzoni a tal punto che i suoni stessi usati negli effetti rappresentano il concetto dei temi trattati nel disco. Prima del 1973 coi PF di The Piper At The Gates Of Dawn o –peggio– di Umma Gumma, ti ritrovavi nel bel mezzo di dieci minuti di divagazioni soniche, folli e a rischio infarto senza sapere come ci eri finito e dove stavi andando. Nel “disco del prisma” probabilmente la band voleva creare qualcosa di diverso, con mille suoni tutti perfettamente integrati; un disco che non stimolasse solo delle visioni su base psichedelica, sostanzialmente senza riferimenti particolari. C’era l’assurda pretesa di poter costruire un insieme fatto di connessioni “sonico-mentali”, immagini semplici e d’effetto unite a suoni strepitosi, tutto interlacciato in un modo ben preciso e sequenziale. Forse è proprio questo che rende TDSOTM il disco più bello del mondo; il perfetto bilanciamento tra psichedelia e musica: 1. quando la divagazione termina ritrovi sempre la strada che avevi lasciato e 2. la parte non prettamente musicale è breve e mai troppo alienante. Il rischio infarto resta, quello sì.
Forse è il miglior disco di sempre perché la combinazione tra la grafica di copertina e la musica è azzeccata in pieno. Oppure perché il solo di voce in The Great Gig In The Sky è senza ombra di dubbio uno dei più belli, intensi, coinvolgenti ed emozionanti mai sentiti, capace di stimolare forti emozioni, sino ad un potente coinvolgimento fisico. O perché le chitarre, energiche e delicate, sono bene accompagnate da tastiere e pianoforte, sempre presenti ma mai invadenti. Sicuramente tutte queste qualità nel loro insieme contribuiscono, così come i solo di chitarra memorabili, orecchiabili e mai scontati o commerciali si fondono alla perfezione con le ritmiche e la psichedelia. Tutto questo scollega la canzone dall’immaginario collettivo del pezzo rock standard (intro quando c’è → strofa → ritornello → strofa → ritornello → solo → strofa → ritornello → solo finale → outro quando c’è), anche perché in TDSOTM non c’è un vero e proprio finale, nelle canzoni; tutte si susseguono senza interruzioni (tranne quando si deve girare il vinile sul piatto –con il cd questo “problema” non esiste e si può godere appieno della continuità del lavoro). E poi, grazie all’infinita varietà di suoni e frequenze mescolata con l’eccezionale qualità audio, potrebbe benissimo essere il disco ideale per collaudare gli impianti hi-fi; è d’obbligo sottolineare che Alan Parson è il responsabile dei suoni.
TDSOTM è rimasto in classifica più a lungo di tutti, senza alcun rivale: per quattordici anni ai primi posti della Billboard Top 200 e dopo vent’anni –grazie alla Twentieth Anniversary Edition con differente copertina (una foto anziché una illustrazione, curata dal loro storico foto-designer Storm Thorgerson di cui segnalo l’essenziale libro VISIONI, grazie Fede&Sandro!)– tornato al numero uno. Ha venduto circa 34 milioni di copie, più altri due grazie all’edizione per i venti anni, e altri “qualche milione” con l’edizione per i trent’anni in SACD (Super Audio CD). Micacazzi. Lasciamo da parte le grane che già dalla seconda metà degli anni ’70 stavano minando l’integrità della band, le droghe che forse incominciavano a dare i loro frutti sulla psiche di alcuni (Syd Barrett; le prime brutte esperienze giunsero già alla fine dei ’60, dal ‘72 si allontanò dai PF anche se partecipò ad alcune registrazioni –segrete– per TDSOTM, finendo per separarsi in maniera definitiva dalla band verso la fine del 1974 e isolandosi dal mondo pochi mesi più tardi, a causa di gravi disturbi psichici causati da problemi personali e da dosi massicce di LSD. Fu dichiarato scomparso –e morto?– nel 1994), i soldi che avevano già iniziato a minare l’amicizia tra i componenti del gruppo, e tante altre faccende meno note… Insomma, detto questo, i Pink Floyd restano uno dei gruppi più amati del pianeta per maggior tempo. La maggior parte di quelli che adorano i Pink Floyd sperano e chiamano una loro reunion da anni; personalmente spero non avvenga mai, avendo visto com’erano conciati al Live8.
Prima di argomentare i perché secondo me “ The Dark Side…” sia il più bel disco mai scritto, aggiungo che questo è uno dei migliori da ascoltare sotto l’effetto di droghe. Non che sia strettanente necessario ma, si sa che il THC è un ottimo amplificatore di sensazioni. Ascoltare TDSOTM ad alto volume dopo aver fumato è una delle esperienze più coinvolgenti in musica: nessun momento allucinante scatenato da minuti psichedelici selvaggi e folli, niente paranoie da trip; solo emozioni e piacere nell’ascoltare splendidi suoni, e affrontare viaggi infinitamente belli. Il rischio infarto è sempre dietro l’angolo, ci tengo a ricordarlo. Sono convinto del fatto che questo disco (come moltissimi altri dei PF) sia stato scritto con l’aiuto di droghe; pensiamo al momento in cui si svolge la scena rock/psichedelia e al luogo: prima metà degli anni ‘70, Londra (luogo culto della sperimentazione musicale e non, da almeno dieci anni a quella parte). I PF stanno lì, suonano rock psichedelico. Ma non “suonano” e basta: loro immaginano, viaggiano, disegnano, scrivono, sperimentano con suoni e strumenti (vedere il DVD Live At Pompeii per credere –peraltro molto interessante in quanto contenente parte delle registrazioni in studio di TDSOTM), le immagini e gli effetti di luci che li seguono nelle esibizioni live sono stravolgenti, in combinazione con la loro musica. Tutto questo non può essere solo frutto della geniale creatività di un gruppo di persone; per quanta passione, interesse, conoscenza e impegno possano averci messo, la storia di ogni grande musicista dimostra che durante il passaggio attraverso il periodo più creativo e prolifico, tutti hanno fatto uso di droghe almeno per un po’ di tempo. Al di là di questa ultima considerazione, il fatto che TDSOTM sia stato scritto col cervello sfranto è una mia opinione, si capisce; ma nessuno riuscirà a togliermela dalla testa.
Perché ha la migliore combinazione tra copertina e musiche? Esaminando bene l’illustrazione di front cover si nota come essa sia davvero geniale nella sua semplicità: non ci sono foto ad alta risoluzione, effetti fotografici, sovrapposizioni o sofisticherie aliene; è praticamente un disegno, solo in seguito rielaborato fotograficamente per delineare meglio i contorni, di un prisma che assorbe un fascio di luce bianca e la rilancia dal suo lato opposto e nascosto rifrangendola scomposta nei colori fondamentali, risultato della risposta in frequenza della luce. Il colore non è altro che il risultato di un filtro –un qualunque oggetto investito dalla luce– che assorbe determinate frequenze e ne restituisce altre. I nostri occhi ricevono dunque lunghezze d’onda diverse poi elaborate dai cristallini e dai coni dell’iride; il cervello percepisce solo colori diversi, gli arriva cioè il risultato finale del filtraggio. Questo è un motivo in più per considerare in modo concettuale anche la copertina: vedere un solo colore non suscita interesse prolungato ma un’intera gamma di colori riesce ad incantare per minuti interi. Stesso concetto per i suoni nel disco). Ma torniamo al disco; andando ancora più a fondo, la copertina non finisce mai: i raggi colorati proseguono sul retro e vanno a cacciarsi dentro un altro prisma, rovesciato, che ricombina i colori nel fascio bianco e via a seguire. La copertina interna fa proseguire i raggi luminosi come una specie di risposta di un elettrocardiogramma, ricomponendosi all’interno di un altro prisma. Da questo vengono nuovamente sparati in un fascio bianco che entrerà a sua volta nel prisma della copertina frontale, tornando al punto di partenza. Questa è l’evidente connessione alla musica di cui si parlava poco sopra: la continuità tra una traccia e l’altra, senza interruzioni, viene rappresentata da luce bianca → prisma → luce colorata → prisma → luce bianca e così via. I battiti cardiaci dell’intro in Speak To Me – Breathe In The Air (e ripresi nel finale di Brain Damage) sono raffigurati dalla risposta dell’ECG colorato presente nella copertina interna. Altra assonanza: la luce bianca che esplode nel fascio multicolore raffigura l’evoluzione in crescendo dell’intensità (emotiva e fisica) della musica: da semplici note (il raggio bianco) si entra in un insieme musicale dalle molteplici sfumature (l’arcobaleno). Un’ultima cosa, una breve curiosità a proposito della copertina: tra le innumerevoli, la versione russa è una chicca (si tratta dell’elaborazione a mano di una foto ad un vero prisma mentre rifrange la luce, in laboratorio), ma ovviamente non gliene frega un cazzo a nessuno.
Perché avrebbe il giusto bilanciamento tra rock e psichedelia? Nel 1969 un disco da bruciati segnò l’epoca della psichedelia e per certi versi la sua morte, dal momento che oltre quel punto sembrava impossibile proseguire: era Umma Gumma. Altri dischi dei Pink Floyd sono psichedelici, invero ricordiamo molto bene The Piper At The Gates Of Dawn le cui Pow R. TOC H. e ancora di più Interstellar Overdrive, sono in grado ancora oggi di farci fare pericolosi viaggi ad altezze vertiginose ma sono lontani, dalle evoluzioni spaziali di UG. Nel 1973 arriva TDSOTM e tutto cambia: non più quella psichedelia cosmica e un po’ fine a se stessa, sostanzialmente priva di collegamenti visivi con il resto dell’opera musicale. Come già affermato precedentemente, nella nuova esperienza ogni secondo che si allontana dalla musica in quanto tale –e si avvicina a ciò che può essere chiamato “psichedelia” (gli orologi e le sveglie in Time, le tastiere “effettate” di On The Run, i battiti cardiaci di Speak to Me – Breathe In Air)– è in linea con il tema della canzone, e quindi con le musiche stesse. Un altro punto a favore è la durata degli esperimenti sonori; la psichedelia in questo può essere un’arma a doppio taglio: se si insiste troppo sul tasto dell’effetto si rischia di risultare noiosi o peggio, banali e senza fantasia, ripetitivi. In quest’opera nulla dura troppo o troppo poco, i tempi sono calcolati esattamente per lo scopo e niente di più. Ultimo ma non per importanza: la qualità audio! La psichedelia è un rischio anche quando l’audio non è bilanciato alla perfezione: si rischia di incorrere nel brutto effetto che un suono si senta di più o non si senta affatto se non a volumi pazzeschi. La catastrofe è quando l’effetto psichedelico risulta del tutto nullo, essendo presenti tuttavia sia suoni che effetti. L’integrazione tra musica e psichedelia nella giusta misura sembra essere un requisito fondamentale; i Pink Floyd con The Dark Side Of The Moon l’hanno soddisfatto in pieno, anzi meglio dire che i Pink Floyd con Alan Parson hanno centrato l’obiettivo. Non ci riuscirono nella stessa misura, anche se molto avanti per l’epoca, su Umma Gumma: originariamente registrato in Mono e, solo successivi anni dopo, rielaborato in stereofonia, non riuscì a rendere vera giustizia al suo lato “viaggioso”; esistono anche alcune versioni in quadrifonia, tecnologia di settantiana derivazione e oggi quasi completamente dismessa. Forse anche perché non c’era Alan Parson a curare i suoni.
Perché è perfetto dal punto di vista del songwriting? Come ho già tentato di spiegare prima, in TDSOTM tutto è collegato; e la musica è allacciata ai testi. Credo che questo sia il primo disco in cui Roger Waters abbia iniziato a parlare di follia, di conseguenza la band ha agito secondo il suo impulso, associando una musica perfettamente rappresentativa. Vuoi per la storicità dei pezzi, ormai entrati nel DNA di molti; vuoi per la inscindibilità delle tracce del disco; vuoi anche per il fatto che le canzoni stesse non hanno –già detto prima– una struttura classica, una forma stabilita a tavolino… insomma pare proprio che l’intero disco sia una sola canzone con tanti capitoli, paragrafi, note e divagazioni; come un libro. Eccezionalmente, sono riusciti a trasformare semplici melodie in pezzi di storia musicale –come la magnifica Brain Damage ad esempio– e di diretto impatto già al primo ascolto. Indica una elevata sensibilità musicale in grado di cogliere gli aspetti pop della musica e inserirli in un contesto per niente commerciale. Se non è questo un motivo valido per considerare grande un disco, qual è allora?
Alla fine di tutta questa sbatta, resta una considerazione che potrebbe rendere nullo tutto il ragionamento: molti amano a tal punto un disco (o una sola canzone) fino ad identificarsi in esso; personalmente non so se mi identifico in maniera integrale nel disco qui citato, ma di sicuro è il mio preferito di sempre, non essendo i Pink Floyd la mia band preferita (paradossale? Mica poi tanto… ). Non so se a livello teorico il discorso fatto finora decada al punto da considerare per ognuno di noi un disco preferito al di sopra di tutti gli altri solo in base all’identificazione con esso o ai gusti personali. Bisogna riuscire ad inquadrare i lati oggettivi e tecnici, quelli che tutti possono notare; dunque si ritorna al punto di partenza… The Dark Side Of The Moon è il miglior disco rock di sempre?