BURNING THE ROAD TO ROADBURN
È il giorno. Tutto è pronto al dettaglio:
dalla moto meccanicamente perfetta ai vari kit di emergenza, attrezzi e primo
soccorso, dall’abbigliamento ai documenti necessari, cartina stradale… tutto!
Quindi si parte. La destinazione? Roadburn Festival, Tilburg, Olanda. Una meta
che ogni appassionato di musica dovrebbe toccare almeno una volta nella vita.
Come per un religioso è il muro del pianto a Gerusalemme. La Mecca. San Pietro
in Vaticano… ci siamo capiti, no?
Martedì 10 Aprile, ore 15, Milano
Con un’ora abbondante di ritardo sul
programma mi avvio di fretta verso la verdissima tangenziale e poi l’autostrada,
la E25-E35.
Il percorso dovrebbe essere, da programma: Milano-Como-Chiasso-Lugano-Bellinzona-Lucerna-Basilea-Freiburg
im Breisgau-Offenburg-uscita dalla E35-Oppenau Kalikutt e dopo 10km di
statale, pernottamento in una Gasthaus inserita nel contesto foresta nera e
borghi medievali. ± 500
km
In Svizzera arrivo in pochissimo tempo, in
giro non c’è traffico. Non appena supero Chiasso comincia a piovere; inoltre
c’è un vento bastardo, gelido, che sferza la valle e taglia lateralmente la
traiettoria della moto. Mi costringe ad una faticosa posizione, storta, per
tenere la Vmax ìn linea con la strada. L’assicurazione che si tratti di una
guida affatto semplice arriva da un automobilista che si fa letteralmente il
segno della croce ad una mia paurosa sbandata a causa di una raffica di vento
che –sorpresa!– adesso arriva dal verso opposto. Con questa premessa, inizio a pensare
che forse sarà un viaggio impegnativo.
Mi fermo ad una stazione di servizio, poco
dopo Lucerna, per riprendermi un po’ dal mal di schiena e anche per farmi
passare un principio di mal di testa… mi bevo una Coca Cola: funziona come
sempre.
Dopo aver fatto il pieno svizzero di
benzina svizzera pagata in denari europei e ricevuto in resto franchi svizzeri
(logico no?) mi immetto nuovamente in E25-E35 fino a Basel. Il tempo peggiora;
non credo di aver mai visto così tanta acqua tutta insieme. Forse sono
suggestionato dal cielo color smog e cenere e dall’altezza cui si trovano le
nubi (praticamente appena sopra il casco… ); soprattutto, mi si stanno bagnando
i piedi. Io però ho l’arma segreta: sacchetti di plastica, robusti, da
avvolgere attorno ai piedi fin su a metà polpaccio. Mi salveranno e mi hanno
salvato in parecchie altre occasioni.
Non sono un tipo che si spaventa per così
poco, mi dico, e mi fiondo nuovamente in strada sotto un’acqua torrenziale. Fa
un freddo cosmico. Ricordo un tempo così quando con alcuni amici decidemmo di
andare allo Stelvio in Agosto dello scorso anno. Anche quando ad Ottobre, con
dei colleghi, sono andato a Grosseto: andata a temperature polari e ritorno
sotto l’acqua, la stessa che fece crollare mezza collina sulla Cisa un paio di
giorni dopo. Ma qui è diverso… tutto completamente differente. Ora che ci
penso: tutti gli ultimi viaggi che ho fatto in moto sono stati caratterizzati
da piogge importanti o freddo con vento. Sono una garanzia, io.
Ore 17:30 circa, autobahn A5-E35, Freiburg im Breisgau
I miei pensieri si interrompono quando mi
accorgo che la E25 si stacca per proseguire in Francia, verso Colmar, e di qui su
per Strasburgo, Metz, Nancy. Poi Lussemburgo, Belgio e Olanda, fino a Tilburg
dove devo arrivare. Penso che potrei andare di là, accorciando di circa 200 km;
però vado lo stesso verso Freiburg (DE)… la tentazione di guidare su una delle
belle autobahn tedesche famose nel mondo è irrefrenabile. Ci arrivo rapido, da
Basel è un tiro di schioppo. Mi ci devo però abituare: l’asfalto è stupendo,
perfettamente pianeggiante, affatto ruvido, le ruote girano con una inerzia
ridicola e mi accorgo che in realtà non è una strada fatta d’asfalto, ma da giganteschi
lastroni di cemento superliscio collegati tra loro da bande di metallo
perfettamente livellate con la strada. Ovviamente di asfalto drenante manco a
parlarne… e infatti vedo malissimo. Nonostante l’acqua incessante, viaggio
sostenuto; la moto va che è una bellezza e se ne frega di tutto, lei. Io invece
sto soffrendo parecchio il mal di schiena e le spalle non me le sento più. Le
mani, osservate ad una stazione di rifornimento, sono blu e i guantini termici
sotto il guanto da moto servono fino ad un certo punto. Lo zaino ha le sue
responsabilità: sono stato attento a non metterci dentro roba inutile, e pesa
comunque una tonnellata…
Ore 21
Si fa buio. Tiro il più possibile per
arrivare a destinazione, voglio farmi una doccia, mangiare e rilassarmi; mi
trovo dietro ad un camion gigantesco, di quelli americani con il muso lungo e
gli scarichi a colonna dietro la cabina, quattro o cinque gradini per salire
all’altezza della portiera, ruote alte come la mia moto. Sta viaggiando come
minimo ai 140 perché io, a 150, lo riesco a malapena a raggiungere. Apro, e in
un paio di secondi la belva è già quasi a 190; supero il mostro a tante ruote stando
distante, ma… che diavolo… ?! Dalla mia destra, più precisamente da sotto il camion,
si solleva una spaventosa onda… una
maledetta onda da surf, tipo quelle del mitico film Un Mercoledì Da
Leoni. Probabilmente un avvallamento nella strada. Me la piglio in pieno. Si sa
che alla sorte non manca il senso dell’ironia; la moto mi si spegne lì, a 180
all’ora in terza corsia della autobahn… in una manciata di secondi mi trovo
quasi fermo! Spavento, panico. Peggio: una paura mortale, un terrore fottuto di
essere centrato da una supercar che viaggia di notte a oltre 200 all’ora. Mi
fiondo in corsia di emergenza, scendo dalla moto, verifico che, effettivamente,
la moto non va e non solo non parte porcodiavolo, non arriva nemmeno corrente.
Allora m’incazzo, ma non è colpa di nessuno, capita, mi dico e decido di
farmela passare spingendo un po’. Chissà… una colonnina del SOS magari? Nel
frattempo, auto e camion rapidi come diarree fulminanti mi inzuppano sempre di
più. Roba da farsela addosso. Io continuo a sperare di vedere una colonnina…
sono solo duecento metri che spingo, col buio e la pioggia sembrano duecento chilometri…
aspetta, eccola lì! Gialla, stagliata nel nero della notte, sembra una fiamma
messa lì a scaldare corpo stanco e anima fradicia dello sfortunato viaggiatore.
Spingo come un matto e finalmente posso riprendere fiato.
Ore 22
Mi guardo intorno: solo del puro buio di
campagna… è la autobahn che costeggia la foresta nera sul lato ovest, non una
lanterna, un lampione a farmi vedere a venti metri. Mi piacerebbe poter aver
paura del buio, o essere in ansia per qualche essere mostruoso che potrebbe
venir fuori dalla foresta vicina e divorarmi, ma invece no. Semplicemente non
succede un cazzo, piove sempre e forte… e io devo stare lì sotto l’acqua a fare
niente? Manco morto. Provo a chiamare l’SOS dal tasto “assistenza meccanica”. Nessuna
risposta, prima imprecazione. Ri-chiamo. Ri-nessuna risposta. Al terzo maledetto
una voce meccanica risponde qualcosa in tedesco. Qualcosa del tipo “chi è?” Tua
madre! Sono io, fermo in mezzo all’autbahn più grossa e veloce della terra e un
grosso camion ha alzato una grossa onda di acqua, mi ha fatto fermare la moto e
ora sono in un grosso (già detto?) guaio.
Mi chiede vita, morte e miracoli e un
sacco di altre cose. Rispondo pazientemente. La colonnina mi dice di aspettare,
qualcuno arriverà.
Dopo mezz’ora arriva un’auto. C’è scritto
Polizei su una banda arancione e il tipo che ne scende mi chiede tutte le
domande che la colonnina mi ha già posto. Le stesse, quasi nello stesso ordine,
come a seguire una gelida logica tutta tedesca. Mi verrebbe da rispondergli
“chiedilo a lei, ci ho parlato fino a due minuti fa e sembra simpatica” ma
siccome so che i poliziotti tedeschi non sono esattamente dei teneri simpaticoni
me ne sto buono e gli dico tutto quello che vuole sapere.
Mi dice anche lui di aspettare al di là
del guardrail… e che fa? Sollecita l’invio dei soccorsi stradali e, finalmente,
un camion giallo ADAC arriva. La mia stima per i poliziotti tedeschi da oggi in
poi sarà (quasi) immortale. Scende prima un piede: lì per lì mi sembra uno
scherzo, è gigantesco. Poi arriva il resto… una specie di orso di oltre due
metri (sono 1,83, gli arrivo a metà del petto… ) ed è anche un metro abbondante
di larghezza e un altro di spessore, forse 200 kg di peso. Il camion adesso
sembra un furgoncino sgangherato. Mi fa cenno di lasciar fare a lui (esperten!). Io penso “ora si carica la moto in spalla e me la
porta dal meccanico a piedi…” invece lascia la moto a puntare verso
sinistra con il cavalletto centrale posizionato (già ora vedo le prime
difficoltà fisiche dell’individuo… ma come? non ce la fa?!). Mette un cavo di
acciaio alla sola forcella destra e noto l’asimmetria e la scompostezza del
mezzo. Quando mi appresto a dirgli “oh zio
guarda che secondo me, ma solo secondo me, il cavo sulla sola forcella destra
potrebbe far sbilanciare la mot…!” è già troppo tardi; il pirla ha fatto
partire il verricello e, chettelodicoaffare, si è portato dietro la moto che “scavalletta”.
Lui si aggrappa al manubrio ma, non riesce a tenerla… cade dal pianale. La moto
va giù con un rumore sinistro, lui come un sacco di... scrivo patate che è
meglio. Questo gigante che cade a terra dietro la mia moto mi dà una sensazione
di impotenza, un’immagine di goffaggine, impreparazione e sfortuna che si
traduce in rabbia: gli urlo, lo insulto (alla fine poveraccio non c’entrava
niente, ma lo stress del momento ha fatto sì che me la prendessi con lui) e lo
sposto di forza per riprendermi la moto. Risponde con un debole “schaisse”, non
so come si scrive o cosa voglia dire, ma l’assonanza con shit è abbastanza forte… in ogni caso la sua faccia dispiaciuta mi
convince. Gli dico non fa niente, con un groppo in gola. Piglio la moto e la
tiro su di forza, togliendogliela da mezzo alle gambe del morbidone; sono 280kg
di metallo e, a scelta, un’ernia o un infarto sono dietro l’angolo ma l’ho
fatto altre volte e ormai so che ci vuole la tecnica per tirarla su da soli, la
forza bruta non serve. Lui mi guarda perplesso e forse ha imparato a imprecare
in Italiano. Intanto verifico i danni, che menomale non sono molti: freccia
destra spezzata (funziona ancora) e supporto del cavo di ritorno della manopola
del gas andato. Funziona ancora anche lui! Alla riparazione penserò poi, e sotto
una pioggia ancora prepotente si ricarica la moto sul camion.
L’ho sempre detto che la Vmax è una moto
d’acciaio, e ora ne ho la conferma definitiva.
Purtroppo le sorprese non sono finite.
Dopo aver fissato la moto, mi dice che non può portarmi al mio B&B (che
dista circa 25 km), mi deve necessariamente portare in un centro assistenza
Yamaha del suo paese, e lì c’è un albergo che può ospitarmi.
Tra un’imprecazione e l’altra gli dico che
va bene, portami dove vuoi ma portami, non ne posso più. Come scusa? Si va ad
Herbolzheim?! Ma ho superato quel posto oltre mezz’ora prima di fermarmi! Così
è, non si discute, mi dice: è la regola. Non discutere mai di regole con un
tedesco; è l’altra lezione di viaggio ricevuta oggi. Arriviamo al paese e forse
sarà un caso, ma continua a tornarmi in mente la scena in cui Igor in
Frankenstein Jr urla “Frau Blucker!”. Lo Schwanau Hotel di Herbolzheim è
gestito dal più grande figlio di sultana del pianeta conosciuto: mi chiede 75
euro per una notte senza colazione, che costa 10€. Mi incazzo di nuovo, dico al
tipo dell’assistenza suo amico -l’albergatore non sa una parola di inglese
(capisce a malapena… “Merano?” no zio, MI-LA-NO)- di dirgli che la stanza va
bene, ma ovviamente non pago più di 60 euro colazione compresa. Mi rendo conto
che negoziare in quella situazione non è esattamente un colpo di genio, il
coltello dalla parte del manico l’hanno loro… eppure mi fa 57€ per la stanza,
colazione compresa: è il mio primo successo e mi sento un valoroso eroe di
guerra.
Mercoledì 11 Aprile, ore 01.30, Herbolzheim
La sera, nella disperazione di non poter
raggiungere Tilburg in tempo e nella depressione per la paura che la moto non
si rimetta in marcia così facilmente come spero, in preda alla fame per non aver
toccato cibo dalla mattina, mi scolo una bottiglia di vino da 375 (non un
granchè, ma quella c’era) e mi addormento in poco tempo, tra sogni inquietanti
e pensieri turbolenti.
Ore 6.00
A quest’ora sono già in piedi, in
fibrillazione e con una fame disumana. Rinfrancato dalla dormita, seppur breve
e agitata, a colazione ci do dentro e i pochi avventori dell’hotel chiedono che
il buffet venga messo sotto chiave. Alle 8 sono vestito e pronto per
l’officina. Chiamo un taxi, arriva in
pochi minuti; mi faccio portare da Motorrad Rubin, lì ad Herbolzheim.
L’officina è più grande della sede del comune e fortunatamente i meccanici e il
titolare conoscono l’inglese; posso congedarmi dall’uomo dell’ADAC. Lo
ringrazio e mi saluta affettuosamente con una pacca sulla spalla. Quasi me la
stacca. Allora fammi capire: la forza la tiri fuori quando non ti serve?
Ci sono moto per tutti i gusti: MV Agusta
F4, Brutale, Yamaha R1, R6, FJR 1300, la favolosa XJR 1300, le nervose
Husaberg, KTM, Husqvarna, e poi una bellissima Honda Africa Twin 650 con
200mila Km che sembra appena uscita dal concessionario. Adoro quella moto! Però,
mi dicono, non hanno mai lavorato su una Vmax. Non che cambi molto dalle altre,
ma in effetti ci sono alcune cose ben precise da tenere a mente quando si mettono
le mani in quel motore; non è semplice da smontare, né meccanicamente
accessibile in molti punti.
La figlia del titolare, brutta come la
morte all’improvviso, intanto mi risponde che non hanno tempo per me: hanno i
loro piani e devono consegnare 15 motociclette entro il pomeriggio. La cosa mi
infastidisce q.b. Noto al muro alcune foto di Rubin da giovane. Ma pensa! Faceva
il pilota di motocross, enduro, velocità… una specie di campione locale che ha
avuto qualche successo a livello nazionale. Rilancio: sviolino a Mariangela
Fantozzi (volevo dire figlia del titolare) la mia ammirazione per gli ex piloti
che si mettono a fare i meccanici / preparatori, lui mi sente e si mette in
mezzo. Gli dico che anche lui quando correva avrà avuto bisogno di assistenza
fulminea e che gli sarà capitato di avere un problema in viaggio per il quale
chiedere una mano a qualcuno. Pare che funzioni: chiama un ragazzo e gli dice
di seguirmi. Si rivelerà bravo, ma è a livello zero di preparazione sulla mia
moto (mi chiede dov’è il serbatoio?! Andiamo bene… non siete anche concessionario
Yamaha? Sono in giro da quasi 30 anni, le Vmax, mai vista una?). Mi dice Rubin
che lui –il ragazzo– lavora solo se io so dargli indicazione di cosa deve fare
perché non conosce questa moto. Ok, mi sento più tranquillo così, a dirla
tutta. Per me avere il controllo della situazione è fondamentale.
Allora: svita qua, svita là, monta su,
tira giù e il ragazzo leva via pacco carburatori, serbatoio e filtro dell’aria.
Tutto è praticamente affogato da una valanga d’acqua, sede della batteria
inclusa! Pulito e asciugato il tutto, riempio il serbatoio con una benzina che
avevano lì (una 106 ottani non so per fare cosa, forse far partire dei caccia
per i blitz… ) e mi ci butta dentro una bottiglietta da 250 ml di uno speciale
additivo verde. Serve, dice Rubin, a isolare le particelle di acqua dalla
benzina, farle condensare ed espellere dai tubi di scappamento. A me è sembrata
una supercazzola, tanto che mi sarei aspettato ad un certo punto il mitico come se fosse Antani… Però il potente V4
sovralimentato parte al primo colpo! Sì ok, fa qualche borbottio, si incazza un
po’, sputa e spara due fiammate di 10 cm, bofonchia, ma alla fine il contagiri
sale e segna il minimo senza ulteriori indugi. Il problema è sempre in agguato:
quando devo aprire la manetta, il motore ci mette quell’uno-due secondi ad
andare su di giri, e lo fa a fatica. Sicuro che c’è ancora acqua dentro, le
ultime particelle di acqua si saranno rintanate in qualche anfratto meccanico o
interstizio nei carburatori, sa il cavolo... Il meccanico dice di no, che non è
possibile, ma non puoi mandare via acqua dalla benzina con un additivo e
svuotando di qua e di là, ci vuole tempo e km di strada! Quindi pago le due ore
di lavoro dell’officina, le bottiglie di additivo, la benzina me la regala (10
litri), e me ne vado.
Ore 12.00
Sarei dovuto partire alle 7.00, e ho perso
cinque ore. Aggiunte alle tre di ieri, diventano otto ore di strada non
percorsa. Un’enormità di tempo perso, su 1158 km ne ho coperti appena 450 e mi
rimane una sola cosa da fare: fregarmene dei limiti di velocità e tirare come
un dannato inseguito dal diavolo in persona per prendergli l’anima.
Il percorso di oggi è: Herbolzheim-Karlsruhe-Landau-Trier-Bitburg-Prüm-Koln-Monchengladbach-Venlo-Eindhoven-Tilburg. ± 757 km
Mappa 1
Mappa 2
Mappa 3
Le strade attraversate sono molto
interessanti. La A5-E35 sale fino a Baden-Baden, notissima località termale romana,
poi attraverso la statale appena fuori Karlsruhe si passa il ponte sul Reno e si
va in Francia per pochi km: appena imboccata la A35, a Worth Am Rhein si prende
la A65 e si torna in Germania. Da Landau, dopo una trentina di km di
insopportabile autobahn si prende una statale bellissima, la 10, che fino a
Pirmasens è uno scorrere di immensi paesaggi collinari e pianure desolate; in
lontananza, si notano i pochi abitanti di queste zone: pale gigantesche per
l’energia eolica, vacche e pecore. Ogni tanto qualcuno con sembianze umane, che
sembra più sperduto di me. Il paesaggio è tutt’altro che rasserenante con
questo tempaccio, mi torna in mente l’esperienza della sera prima e la paura di
restare a piedi lì in mezzo è a dir poco inquietante.
Arrivo a Pirmasens e prendo la A62, altra
autobahn con lunghi tratti senza limiti. Cerco di non pensare troppo e mi metto
a circa 190-200 all’ora di crociera, facendo una fatica boia per tenermi aggrappato
al manubrio e stare in sella. La posizione, vista “da fuori”, deve sembrare un
bel po’ strana: seduto sul sellino del passeggero, anfibi sulle pedane del
passeggero, corpo quasi completamente sdraiato e proteso in avanti, braccia
piegate e gomiti chiusi. Comodo non è, ma molto efficace contro l’aria sì. Però
entro in riserva ovviamente in cinque minuti, e mi fermo a fare benzina. A questo
punto una domanda: perché in Italia non c’è la 102 ottani? Ci fermiamo alla 98.
Onestamente, la differenza si sente, se si ha una moto con un motore vecchio
tipo a carburatori. I consumi non sono male, ma devo stare attento con la
manetta… questa moto, se fai troppo lo spiritoso, ti succhia anche l’anima. E
siccome in questa zona i distributori scarseggiano, voglio evitare di restare a
secco come un idiota incosciente.
Ore 17:30,
Raggiungo dolorante Prüm e Niederprüm, dopo qualche km di statale molto bella.
Prüm, la prima che incontro, è una cittadella molto carina, pulita, ordinata e
dall’aria vagamente alcolica (ci sono più birrerie che banche e negozi di
vestiti messi insieme). Niederprüm è la sua frazione, in cui si trova il museo-officina della Yamaha Vmax.
In quasi 30 anni di esistenza, questo leggendario mezzo a due ruote è diventato
mito anche grazie a quest’officina che si è contraddistinta, tra le tante altre
sparse per il mondo, per l’originalità delle sue “creazioni” personalizzate e
modificate all’inverosimile. Dopo un paio di minuti di chiacchiere con il
titolare, me ne devo andare sennò a Tilburg non arrivo per sera. Gli accenno
del problema avuto, mi dice “guarda che
se ti è andata l’acqua nei carb, va risistemata la carburazione step-by-step
mentre viaggi”. Mi sembra una verità accettabile, soprattutto per il fatto
che la dice uno che le Vmax le conosce parecchio. Seguo il suo consiglio,
fortunatamente ci so fare abbastanza e la moto l’ho sempre carburata io, quindi
non è un problema seguire le sue indicazioni. Va già meglio e mi rimetto in
marcia: Tilburg è ancora lontana, mancano 300 km e sono le 6.30 di sera.
Come previsto, in autostrada non c’è
un’anima e io vado parecchio forte, la media è 150-160 che su una “custom” è
una tortura e un invito a farsi male. Dovevo arrivare per forza di cose quella
sera stessa, non erano concessi ulteriori ritardi.
Ore 21.30, Tilburg
Ci sono. Allo stesso tempo mi accorgo di
trovarmi dalla parte sbagliata, a nord est invece che a sud ovest dove ho
l’hotel. Tilburg non è grandissima, ma neanche un paesino di campagna: entro in
camera alle 23 in punto. Nemmeno una doccia e mi dirigo nel pub sottostante. Servono
ottima birra irlandese e inglese. Niente di meglio dopo due giorni così. Dopo
un’oretta chiude e io finalmente vado a riposare, soddisfatto ma un po’
disturbato dalla disavventura, demoralizzato perché so già che questo scherzo
mi impedirà di vedere tranquillamente per intero il festival, motivo per cui sono
a Tilburg.
Dopo due giorni passati ad ascoltare musica
dalle 16 a mezzanotte circa mi sento un po’ rinato, grazie anche al coffee shop
The Grass Company; si mangia molto bene, si spende il giusto e si fuma di
qualità (dal 1° Maggio non sarà più così). Mi ci vorrebbe il terzo giorno,
Sabato, che è interessante e c’è una band che non ho mai visto dal vivo (gli
Sleep)… devo rinunciare per esigenze di viaggio. So già che me ne pentirò per
parecchio tempo, ma la necessità di essere a casa entro domenica sera incombe. Lunedì
si lavora e, pare, sarà una settimana impegnativa… devo darmi una regolata e
riprendermi dalla botta del ritorno, avere il tempo di recuperare. Un’ultima
sosta al coffee shop per la buonanotte e poi si torna in albergo. Mentre,
seduto al tavolo del coffee shop davanti ad una tazza di thè fumante, mi
accendo l’ultima, penso che però ho visto delle band molto interessanti e
alcune leggendarie, come i Voivod, e posso ritenermi dunque soddisfatto e
contento, felice che (quasi) tutto sia andato per il verso giusto sinora,
quindi perché lamentarsi?
Sabato, ore 00.50
Preparo tutti i bagagli e sistemo la moto.
Mentalmente non sono apposto: stanco, assonnato e decisamente stordito, mi
fischiano le orecchie e mi fa male tutto. Finiti i preparativi, un bel bagno
caldo mi rimette in sesto e riesco a dormire quelle 5 ore, giusto il
necessario.
Ore 9.30
Dopo un’imponente colazione faccio il
check-out e me ne vado. Un vero peccato, penso di nuovo. Mi renderò conto solo
la sera che ho fatto la scelta giusta: non sarei mai riuscito a farcela in un
giorno solo con quelle condizioni climatiche.
Il percorso prevede: Tilburg-Eindhoven-Maastricht-Liege (Luik) in
Belgio-Lussemburgo-Strasburgo dove in teoria vorrei fermarmi.
Ore 10.30, Maastricht
Entro in Belgio, attraverso la città di
Maastricht. Famosa per essere un antico borgo romano sul fiume Maas (tricht, in latino traiectum, indicava l’itinerario per superare il fiume) e per
essere stata il 7/2/92 la sede in cui si è firmato il Trattato di Maastricht,
questa città mi ha sempre affascinato. Il tempo fa talmente schifo che però non
vale la pena di fermarsi per un paio di foto al borgo del centro città, di cui
tutti menzionano bellezza ed eleganza. Non posso nemmeno godere della vitalità
e cortesia dei suoi abitanti, caratteristiche famose in tutti i Paesi Bassi e
per le quali questa antica città (una delle prime d’Olanda) va fiera. Appunto
il cattivo tempo non mi permette soste di piacere. Proseguo sull’autostrada in
compagnia di nuvole sempre più minacciose.
Ore 14.00
Arrivo senza difficoltà in Lussemburgo ma
solo dopo aver incontrato, nell’ordine: traffico arrogante della domenica tra
Olanda e Belgio e tempo pessimo tra Belgio e Lussemburgo (nevischio e grandine,
non mi faccio mancare nulla io!). Una sosta inutile per il pranzo mi regala una
nuova caduta della moto, grazie ad un imbranato che l’ha centrata in
retromarcia durante una manovra per uscire dal parcheggio. Il fenomeno guida
una BMW M6 (autogrande:cervellopiccolo=autopiccola:cervellogrande è l’equazione
valida in ogni angolo del pianeta). Meno male che non s’è fatta niente di
niente. Di nuovo, che moto fantastica. E che culo! Me ne vado sennò lo picchio
davanti a tutti.
La strada si fa piacevolmente scorrevole,
nonostante la pioggia incessante. Attraverso il confine e finalmente comincio a
percorrere statali piacevoli, ha anche smesso di piovere e ne sono felicissimo,
posso aprire il casco, respirare aria fresca, non rischiare più di finire a
terra ogni volta che accarezzo il gas all’uscita delle curve… non è da poco! La
statale D919 a sud di Metz, che porta a Strasburgo, è affascinante. Si
attraversano paesini uno più bello dell’altro che mi fanno dimenticare
l’antipatia che provo per la maggior parte dei Francesi che ho conosciuto; sì
perché qui la gente, come tutte le persone che conducono una sana vita di
campagna, è gentile e disponibile, un po’ rude e brusca nelle risposte, il che
è piacevole per me. A Liéhon mi fermo per una breve pausa e mi metto a
chiacchierare con un simpatico contadino che mi chiede che strana moto è
quella… vaglielo a spiegare ad un francese di campagna che parla un inglese
smozzicato e sdentato.
Mi indica una strada molto bella comunque,
che si trova a una ventina di km da lì. Si chiama Route Forestière du Grand Pré e inizia così.
Per quanto io ami le strade imboscate, non
mi sembra il caso di percorrerla con la Vmax, soprattutto in queste condizioni
meteo. Perciò proseguo sulla D919, la principale, che non fa affatto schifo
come si può notare.
Non esagero dicendo che ad ogni paese mi
fermo ad ammirare gli angoli di vecchie case, a respirare l’aria di vecchia
Francia e ad apprezzare brevemente lo scorrere lento della vita in questi
minuscoli borghi, dove viene ancora apprezzata per le piccole cose. La frenesia
delle grandi città poco prima attraversate questa gente non sa cos’è.
La D919 mi porta a Sarrebourg, e diventa
un serpente con le gobbe. Fantastica. Va avanti così per circa 7-8 km.
La percorro tutta fino a Sarrebourg, che
non è niente di speciale. Da lì imbocco la N4, o la D1004 che dir si voglia. A
questo punto mi serve benzina; la Vmax per me è la moto della vita e ha un
unico difetto (non sarebbe perfetta, altrimenti): serbatoio troppo piccolo.
Dodici litri e mezzo riserva compresa non sono sufficienti a mandare avanti un
1.200 V4 16 valvole sovralimentato; bastano per poco meno di duecento km se si mantiene
un’andatura tranquilla. Trovo un Esso e una magnifica super 102 ottani che
costa meno della Super 98 in Italia.
Ore 18.30
Quando arrivo a Strasburgo preferisco
evitare di perdermi in città, mi dirigo verso la zona dell’estrema periferia
sud dove abbondano Holiday Inn, Best Western, motel di strada ad ore (tutti
pieni!) etc. Trovo un’interessante camera al Premiere Classe, costa 34 euro a
notte colazione esclusa (6€). Ovviamente della lingua Inglese manco l’ombra,
arranco sul bancone della receptionist qualche parola e a fatica mi faccio
ascoltare. È veramente antipatica, penso, mi squadra e mi risponde a
monosillabi, ma ottengo la stanza. Chiedo come funziona il riscaldamento ‘che ho
un freddo cane, sono umido, e il posto è tipo un monastero feudale. Devo rinunciare
a capire per disperazione, e ancora non ho ben compreso a quale termostato
facesse riferimento la ragazza, mai trovato. La stanza misura 3x3, una cella
praticamente, con il bagno che sembra sia stato staccato dall’interno di un
camper e piazzato in camera alla meglio… la doccia è stata un’impresa di
contorsionismo. Che fosse davvero un ex convento? Però avevo un TV LCD 50”
appeso alla parete: caspita se sono cose importanti!
Ore 21.00
Per cena mi sono dovuto fare 3km a piedi
ad andare e 3 a tornare, e quella bistecca mangiata alla periferia sud di
Strasburgo mi è sembrata la migliore mai mangiata. Me ne torno in stanza perché
fuori c’è un’aria gelida che taglia le gambe. Mi sistemo e mi accendo l’ultimo
ricordino del coffee shop di Tilburg, pensando ai miei amici: in questo momento
stanno vedendo gli Sleep, altro gruppo per me importantissimo e veramente
potente! Loro avranno l’aereo tra due giorni, con tutta calma e abbastanza
riposati, mentre io mi sento un po’ triste, malinconico (è la “Roadburn
Sindrome”, tutto normale) e allo stesso tempo super fortunato perché questo
viaggio non sta andando per niente male! Sto facendo un’avventura dopotutto, e
il concerto era la ciliegina sulla torta. Due intense passioni che si
incontrano nello stesso viaggio? Sembra un sogno… altro che incubo. E dopo
averlo spento nel posacenere improvvisato con la tazza del gabinetto, mi spengo
anche io e finalmente dormo sereno.
Domenica, ore 7.00, Strasbourg
Mi sveglio e salto su come una molla. Sono
sudato perché il piumino (sintetico) non mi fa respirare, e l’impatto con
l’aria fredda del mattino mi dà una bella botta. Adoro lavarmi con l’acqua
gelida al mattino, e dopo 2 secondi sono in piena forma. Guardo fuori dalla
finestra, e si smorza l’entusiasmo. Piove più di ieri, fa più freddo e c’è
vento, pure. Faccio finta di non aver guardato, spallucce e vado a fare
colazione. Ci tengo a precisare che per tutto il tempo che sono stato in Olanda
non ho mai guardato nemmeno per cinque secondi le previsioni del tempo: ogni
cosa a suo tempo e alle condizioni meteo ci penso quando mi devo mettere in
viaggio.
Ore 8.00
Sono già per strada, percorro le strade
fuori Strasburgo come un automa con la mappa stampata nel cervello. Finché non
arrivo al confine attraverso un gigantesco ponte sul Reno, un tratto della
statale 98 che diventerà, da Offenburg, la 33 tedesca. Da qui si hanno diverse
scelte, tutte buone. Quella che prendo sul momento si rivelerà un colpo da
maestro e mi rasserenerà la giornata in crescendo. La 33 infatti mi porta a
Lahr, e poi devo proseguire verso Shiltach, successivamente a sud verso
Villingen. La D500, famoso itinerario attraversato da tutti i motorrader almeno
una volta nella vita, passa dentro la Foresta Nera, ed è meravigliosa. Talmente
bella che purtroppo mi sono completamente dimenticato di tenere la macchina
fotografica a portata di mano, viaggiavo con la testa tra le nuvole… una strada
così mi capiterà pochissime altre volte di farla. Una vera goduria quelle
curve, quegli scorci di paesaggio tra gli alberi, quei cimiteri nei piccoli
borghi…
Ore 12.00, Basel
Sono in Svizzera. Il tempo è veramente uno
schifo, è peggiorato tantissimo e oltre ad una pioggia infame c’è anche un
vento figlio di sua madre. Tengo duro più che posso ma poi mi devo fermare in
una stazione di servizio, perlomeno a scaldarmi un po’ le mani sotto l’acqua
calda e per bisogni fisiologici (col freddo si “tiene” meno… ). Faccio una
terza colazione (la prima in Francia, la seconda in Germania e la terza in
Svizzera per una qualche logica che lì sul momento mi sfugge) e ora sì che ci
siamo: maltempo, sei mio!
Passato questo scoglio, entro nel tunnel
del Gottardo, e l’aria di metropolitana, calda e puzzolente di gas di scarico,
mi asciuga e mi riporta ad una temperatura corporea umana.
Dopo il tunnel la Svizzera ha vita breve,
sono a Chiasso in un attimo e di qui a casa la strada è breve, Milano è dietro
l’angolo.
Entro in casa alle 15, sono abbastanza
stanco ma pensavo peggio. Me ne vado a dormire un po’ ripensando all’avventura
e alla soddisfazione di poter dire un giorno che un’avventura fatta per
inseguire le proprie passioni è vita. La passione è vita, perché la vita è fatta
di passioni.