lunedì 30 aprile 2012

BURNING THE ROAD TO ROADBURN


È il giorno. Tutto è pronto al dettaglio: dalla moto meccanicamente perfetta ai vari kit di emergenza, attrezzi e primo soccorso, dall’abbigliamento ai documenti necessari, cartina stradale… tutto! Quindi si parte. La destinazione? Roadburn Festival, Tilburg, Olanda. Una meta che ogni appassionato di musica dovrebbe toccare almeno una volta nella vita. Come per un religioso è il muro del pianto a Gerusalemme. La Mecca. San Pietro in Vaticano… ci siamo capiti, no?

Martedì 10 Aprile, ore 15, Milano
Con un’ora abbondante di ritardo sul programma mi avvio di fretta verso la verdissima tangenziale e poi l’autostrada, la E25-E35.
Il percorso dovrebbe essere, da programma: Milano-Como-Chiasso-Lugano-Bellinzona-Lucerna-Basilea-Freiburg im Breisgau-Offenburg-uscita dalla E35-Oppenau Kalikutt e dopo 10km di statale, pernottamento in una Gasthaus inserita nel contesto foresta nera e borghi medievali. ± 500 km


In Svizzera arrivo in pochissimo tempo, in giro non c’è traffico. Non appena supero Chiasso comincia a piovere; inoltre c’è un vento bastardo, gelido, che sferza la valle e taglia lateralmente la traiettoria della moto. Mi costringe ad una faticosa posizione, storta, per tenere la Vmax ìn linea con la strada. L’assicurazione che si tratti di una guida affatto semplice arriva da un automobilista che si fa letteralmente il segno della croce ad una mia paurosa sbandata a causa di una raffica di vento che –sorpresa!– adesso arriva dal verso opposto. Con questa premessa, inizio a pensare che forse sarà un viaggio impegnativo.
Mi fermo ad una stazione di servizio, poco dopo Lucerna, per riprendermi un po’ dal mal di schiena e anche per farmi passare un principio di mal di testa… mi bevo una Coca Cola: funziona come sempre.


Dopo aver fatto il pieno svizzero di benzina svizzera pagata in denari europei e ricevuto in resto franchi svizzeri (logico no?) mi immetto nuovamente in E25-E35 fino a Basel. Il tempo peggiora; non credo di aver mai visto così tanta acqua tutta insieme. Forse sono suggestionato dal cielo color smog e cenere e dall’altezza cui si trovano le nubi (praticamente appena sopra il casco… ); soprattutto, mi si stanno bagnando i piedi. Io però ho l’arma segreta: sacchetti di plastica, robusti, da avvolgere attorno ai piedi fin su a metà polpaccio. Mi salveranno e mi hanno salvato in parecchie altre occasioni.
Non sono un tipo che si spaventa per così poco, mi dico, e mi fiondo nuovamente in strada sotto un’acqua torrenziale. Fa un freddo cosmico. Ricordo un tempo così quando con alcuni amici decidemmo di andare allo Stelvio in Agosto dello scorso anno. Anche quando ad Ottobre, con dei colleghi, sono andato a Grosseto: andata a temperature polari e ritorno sotto l’acqua, la stessa che fece crollare mezza collina sulla Cisa un paio di giorni dopo. Ma qui è diverso… tutto completamente differente. Ora che ci penso: tutti gli ultimi viaggi che ho fatto in moto sono stati caratterizzati da piogge importanti o freddo con vento. Sono una garanzia, io.

Ore 17:30 circa, autobahn A5-E35, Freiburg im Breisgau
I miei pensieri si interrompono quando mi accorgo che la E25 si stacca per proseguire in Francia, verso Colmar, e di qui su per Strasburgo, Metz, Nancy. Poi Lussemburgo, Belgio e Olanda, fino a Tilburg dove devo arrivare. Penso che potrei andare di là, accorciando di circa 200 km; però vado lo stesso verso Freiburg (DE)… la tentazione di guidare su una delle belle autobahn tedesche famose nel mondo è irrefrenabile. Ci arrivo rapido, da Basel è un tiro di schioppo. Mi ci devo però abituare: l’asfalto è stupendo, perfettamente pianeggiante, affatto ruvido, le ruote girano con una inerzia ridicola e mi accorgo che in realtà non è una strada fatta d’asfalto, ma da giganteschi lastroni di cemento superliscio collegati tra loro da bande di metallo perfettamente livellate con la strada. Ovviamente di asfalto drenante manco a parlarne… e infatti vedo malissimo. Nonostante l’acqua incessante, viaggio sostenuto; la moto va che è una bellezza e se ne frega di tutto, lei. Io invece sto soffrendo parecchio il mal di schiena e le spalle non me le sento più. Le mani, osservate ad una stazione di rifornimento, sono blu e i guantini termici sotto il guanto da moto servono fino ad un certo punto. Lo zaino ha le sue responsabilità: sono stato attento a non metterci dentro roba inutile, e pesa comunque una tonnellata…
Ore 21
Si fa buio. Tiro il più possibile per arrivare a destinazione, voglio farmi una doccia, mangiare e rilassarmi; mi trovo dietro ad un camion gigantesco, di quelli americani con il muso lungo e gli scarichi a colonna dietro la cabina, quattro o cinque gradini per salire all’altezza della portiera, ruote alte come la mia moto. Sta viaggiando come minimo ai 140 perché io, a 150, lo riesco a malapena a raggiungere. Apro, e in un paio di secondi la belva è già quasi a 190; supero il mostro a tante ruote stando distante, ma… che diavolo… ?! Dalla mia destra, più precisamente da sotto il camion, si solleva una spaventosa onda… una  maledetta onda da surf, tipo quelle del mitico film Un Mercoledì Da Leoni. Probabilmente un avvallamento nella strada. Me la piglio in pieno. Si sa che alla sorte non manca il senso dell’ironia; la moto mi si spegne lì, a 180 all’ora in terza corsia della autobahn… in una manciata di secondi mi trovo quasi fermo! Spavento, panico. Peggio: una paura mortale, un terrore fottuto di essere centrato da una supercar che viaggia di notte a oltre 200 all’ora. Mi fiondo in corsia di emergenza, scendo dalla moto, verifico che, effettivamente, la moto non va e non solo non parte porcodiavolo, non arriva nemmeno corrente. Allora m’incazzo, ma non è colpa di nessuno, capita, mi dico e decido di farmela passare spingendo un po’. Chissà… una colonnina del SOS magari? Nel frattempo, auto e camion rapidi come diarree fulminanti mi inzuppano sempre di più. Roba da farsela addosso. Io continuo a sperare di vedere una colonnina… sono solo duecento metri che spingo, col buio e la pioggia sembrano duecento chilometri… aspetta, eccola lì! Gialla, stagliata nel nero della notte, sembra una fiamma messa lì a scaldare corpo stanco e anima fradicia dello sfortunato viaggiatore. Spingo come un matto e finalmente posso riprendere fiato.
Ore 22
Mi guardo intorno: solo del puro buio di campagna… è la autobahn che costeggia la foresta nera sul lato ovest, non una lanterna, un lampione a farmi vedere a venti metri. Mi piacerebbe poter aver paura del buio, o essere in ansia per qualche essere mostruoso che potrebbe venir fuori dalla foresta vicina e divorarmi, ma invece no. Semplicemente non succede un cazzo, piove sempre e forte… e io devo stare lì sotto l’acqua a fare niente? Manco morto. Provo a chiamare l’SOS dal tasto “assistenza meccanica”. Nessuna risposta, prima imprecazione. Ri-chiamo. Ri-nessuna risposta. Al terzo maledetto una voce meccanica risponde qualcosa in tedesco. Qualcosa del tipo “chi è?” Tua madre! Sono io, fermo in mezzo all’autbahn più grossa e veloce della terra e un grosso camion ha alzato una grossa onda di acqua, mi ha fatto fermare la moto e ora sono in un grosso (già detto?) guaio.
Mi chiede vita, morte e miracoli e un sacco di altre cose. Rispondo pazientemente. La colonnina mi dice di aspettare, qualcuno arriverà.
Dopo mezz’ora arriva un’auto. C’è scritto Polizei su una banda arancione e il tipo che ne scende mi chiede tutte le domande che la colonnina mi ha già posto. Le stesse, quasi nello stesso ordine, come a seguire una gelida logica tutta tedesca. Mi verrebbe da rispondergli “chiedilo a lei, ci ho parlato fino a due minuti fa e sembra simpatica” ma siccome so che i poliziotti tedeschi non sono esattamente dei teneri simpaticoni me ne sto buono e gli dico tutto quello che vuole sapere.
Mi dice anche lui di aspettare al di là del guardrail… e che fa? Sollecita l’invio dei soccorsi stradali e, finalmente, un camion giallo ADAC arriva. La mia stima per i poliziotti tedeschi da oggi in poi sarà (quasi) immortale. Scende prima un piede: lì per lì mi sembra uno scherzo, è gigantesco. Poi arriva il resto… una specie di orso di oltre due metri (sono 1,83, gli arrivo a metà del petto… ) ed è anche un metro abbondante di larghezza e un altro di spessore, forse 200 kg di peso. Il camion adesso sembra un furgoncino sgangherato. Mi fa cenno di lasciar fare a lui (esperten!). Io penso “ora si carica la moto in spalla e me la porta dal meccanico a piedi…” invece lascia la moto a puntare verso sinistra con il cavalletto centrale posizionato (già ora vedo le prime difficoltà fisiche dell’individuo… ma come? non ce la fa?!). Mette un cavo di acciaio alla sola forcella destra e noto l’asimmetria e la scompostezza del mezzo. Quando mi appresto a dirgli “oh zio guarda che secondo me, ma solo secondo me, il cavo sulla sola forcella destra potrebbe far sbilanciare la mot…!” è già troppo tardi; il pirla ha fatto partire il verricello e, chettelodicoaffare, si è portato dietro la moto che “scavalletta”. Lui si aggrappa al manubrio ma, non riesce a tenerla… cade dal pianale. La moto va giù con un rumore sinistro, lui come un sacco di... scrivo patate che è meglio. Questo gigante che cade a terra dietro la mia moto mi dà una sensazione di impotenza, un’immagine di goffaggine, impreparazione e sfortuna che si traduce in rabbia: gli urlo, lo insulto (alla fine poveraccio non c’entrava niente, ma lo stress del momento ha fatto sì che me la prendessi con lui) e lo sposto di forza per riprendermi la moto. Risponde con un debole “schaisse”, non so come si scrive o cosa voglia dire, ma l’assonanza con shit è abbastanza forte… in ogni caso la sua faccia dispiaciuta mi convince. Gli dico non fa niente, con un groppo in gola. Piglio la moto e la tiro su di forza, togliendogliela da mezzo alle gambe del morbidone; sono 280kg di metallo e, a scelta, un’ernia o un infarto sono dietro l’angolo ma l’ho fatto altre volte e ormai so che ci vuole la tecnica per tirarla su da soli, la forza bruta non serve. Lui mi guarda perplesso e forse ha imparato a imprecare in Italiano. Intanto verifico i danni, che menomale non sono molti: freccia destra spezzata (funziona ancora) e supporto del cavo di ritorno della manopola del gas andato. Funziona ancora anche lui! Alla riparazione penserò poi, e sotto una pioggia ancora prepotente si ricarica la moto sul camion.
L’ho sempre detto che la Vmax è una moto d’acciaio, e ora ne ho la conferma definitiva.
Purtroppo le sorprese non sono finite. Dopo aver fissato la moto, mi dice che non può portarmi al mio B&B (che dista circa 25 km), mi deve necessariamente portare in un centro assistenza Yamaha del suo paese, e lì c’è un albergo che può ospitarmi.
Tra un’imprecazione e l’altra gli dico che va bene, portami dove vuoi ma portami, non ne posso più. Come scusa? Si va ad Herbolzheim?! Ma ho superato quel posto oltre mezz’ora prima di fermarmi! Così è, non si discute, mi dice: è la regola. Non discutere mai di regole con un tedesco; è l’altra lezione di viaggio ricevuta oggi. Arriviamo al paese e forse sarà un caso, ma continua a tornarmi in mente la scena in cui Igor in Frankenstein Jr urla “Frau Blucker!”. Lo Schwanau Hotel di Herbolzheim è gestito dal più grande figlio di sultana del pianeta conosciuto: mi chiede 75 euro per una notte senza colazione, che costa 10€. Mi incazzo di nuovo, dico al tipo dell’assistenza suo amico -l’albergatore non sa una parola di inglese (capisce a malapena… “Merano?” no zio, MI-LA-NO)- di dirgli che la stanza va bene, ma ovviamente non pago più di 60 euro colazione compresa. Mi rendo conto che negoziare in quella situazione non è esattamente un colpo di genio, il coltello dalla parte del manico l’hanno loro… eppure mi fa 57€ per la stanza, colazione compresa: è il mio primo successo e mi sento un valoroso eroe di guerra.
Mercoledì 11 Aprile, ore 01.30, Herbolzheim
La sera, nella disperazione di non poter raggiungere Tilburg in tempo e nella depressione per la paura che la moto non si rimetta in marcia così facilmente come spero, in preda alla fame per non aver toccato cibo dalla mattina, mi scolo una bottiglia di vino da 375 (non un granchè, ma quella c’era) e mi addormento in poco tempo, tra sogni inquietanti e pensieri turbolenti.
Ore 6.00
A quest’ora sono già in piedi, in fibrillazione e con una fame disumana. Rinfrancato dalla dormita, seppur breve e agitata, a colazione ci do dentro e i pochi avventori dell’hotel chiedono che il buffet venga messo sotto chiave. Alle 8 sono vestito e pronto per l’officina.  Chiamo un taxi, arriva in pochi minuti; mi faccio portare da Motorrad Rubin, lì ad Herbolzheim. L’officina è più grande della sede del comune e fortunatamente i meccanici e il titolare conoscono l’inglese; posso congedarmi dall’uomo dell’ADAC. Lo ringrazio e mi saluta affettuosamente con una pacca sulla spalla. Quasi me la stacca. Allora fammi capire: la forza la tiri fuori quando non ti serve?
Ci sono moto per tutti i gusti: MV Agusta F4, Brutale, Yamaha R1, R6, FJR 1300, la favolosa XJR 1300, le nervose Husaberg, KTM, Husqvarna, e poi una bellissima Honda Africa Twin 650 con 200mila Km che sembra appena uscita dal concessionario. Adoro quella moto! Però, mi dicono, non hanno mai lavorato su una Vmax. Non che cambi molto dalle altre, ma in effetti ci sono alcune cose ben precise da tenere a mente quando si mettono le mani in quel motore; non è semplice da smontare, né meccanicamente accessibile in molti punti.
La figlia del titolare, brutta come la morte all’improvviso, intanto mi risponde che non hanno tempo per me: hanno i loro piani e devono consegnare 15 motociclette entro il pomeriggio. La cosa mi infastidisce q.b. Noto al muro alcune foto di Rubin da giovane. Ma pensa! Faceva il pilota di motocross, enduro, velocità… una specie di campione locale che ha avuto qualche successo a livello nazionale. Rilancio: sviolino a Mariangela Fantozzi (volevo dire figlia del titolare) la mia ammirazione per gli ex piloti che si mettono a fare i meccanici / preparatori, lui mi sente e si mette in mezzo. Gli dico che anche lui quando correva avrà avuto bisogno di assistenza fulminea e che gli sarà capitato di avere un problema in viaggio per il quale chiedere una mano a qualcuno. Pare che funzioni: chiama un ragazzo e gli dice di seguirmi. Si rivelerà bravo, ma è a livello zero di preparazione sulla mia moto (mi chiede dov’è il serbatoio?! Andiamo bene… non siete anche concessionario Yamaha? Sono in giro da quasi 30 anni, le Vmax, mai vista una?). Mi dice Rubin che lui –il ragazzo– lavora solo se io so dargli indicazione di cosa deve fare perché non conosce questa moto. Ok, mi sento più tranquillo così, a dirla tutta. Per me avere il controllo della situazione è fondamentale.
Allora: svita qua, svita là, monta su, tira giù e il ragazzo leva via pacco carburatori, serbatoio e filtro dell’aria. Tutto è praticamente affogato da una valanga d’acqua, sede della batteria inclusa! Pulito e asciugato il tutto, riempio il serbatoio con una benzina che avevano lì (una 106 ottani non so per fare cosa, forse far partire dei caccia per i blitz… ) e mi ci butta dentro una bottiglietta da 250 ml di uno speciale additivo verde. Serve, dice Rubin, a isolare le particelle di acqua dalla benzina, farle condensare ed espellere dai tubi di scappamento. A me è sembrata una supercazzola, tanto che mi sarei aspettato ad un certo punto il mitico come se fosse Antani… Però il potente V4 sovralimentato parte al primo colpo! Sì ok, fa qualche borbottio, si incazza un po’, sputa e spara due fiammate di 10 cm, bofonchia, ma alla fine il contagiri sale e segna il minimo senza ulteriori indugi. Il problema è sempre in agguato: quando devo aprire la manetta, il motore ci mette quell’uno-due secondi ad andare su di giri, e lo fa a fatica. Sicuro che c’è ancora acqua dentro, le ultime particelle di acqua si saranno rintanate in qualche anfratto meccanico o interstizio nei carburatori, sa il cavolo... Il meccanico dice di no, che non è possibile, ma non puoi mandare via acqua dalla benzina con un additivo e svuotando di qua e di là, ci vuole tempo e km di strada! Quindi pago le due ore di lavoro dell’officina, le bottiglie di additivo, la benzina me la regala (10 litri), e me ne vado.
Ore 12.00
Sarei dovuto partire alle 7.00, e ho perso cinque ore. Aggiunte alle tre di ieri, diventano otto ore di strada non percorsa. Un’enormità di tempo perso, su 1158 km ne ho coperti appena 450 e mi rimane una sola cosa da fare: fregarmene dei limiti di velocità e tirare come un dannato inseguito dal diavolo in persona per prendergli l’anima.

Il percorso di oggi è: Herbolzheim-Karlsruhe-Landau-Trier-Bitburg-Prüm-Koln-Monchengladbach-Venlo-Eindhoven-Tilburg. ± 757 km

Mappa 1
Mappa 2
Mappa 3


Le strade attraversate sono molto interessanti. La A5-E35 sale fino a Baden-Baden, notissima località termale romana, poi attraverso la statale appena fuori Karlsruhe si passa il ponte sul Reno e si va in Francia per pochi km: appena imboccata la A35, a Worth Am Rhein si prende la A65 e si torna in Germania. Da Landau, dopo una trentina di km di insopportabile autobahn si prende una statale bellissima, la 10, che fino a Pirmasens è uno scorrere di immensi paesaggi collinari e pianure desolate; in lontananza, si notano i pochi abitanti di queste zone: pale gigantesche per l’energia eolica, vacche e pecore. Ogni tanto qualcuno con sembianze umane, che sembra più sperduto di me. Il paesaggio è tutt’altro che rasserenante con questo tempaccio, mi torna in mente l’esperienza della sera prima e la paura di restare a piedi lì in mezzo è a dir poco inquietante.



Arrivo a Pirmasens e prendo la A62, altra autobahn con lunghi tratti senza limiti. Cerco di non pensare troppo e mi metto a circa 190-200 all’ora di crociera, facendo una fatica boia per tenermi aggrappato al manubrio e stare in sella. La posizione, vista “da fuori”, deve sembrare un bel po’ strana: seduto sul sellino del passeggero, anfibi sulle pedane del passeggero, corpo quasi completamente sdraiato e proteso in avanti, braccia piegate e gomiti chiusi. Comodo non è, ma molto efficace contro l’aria sì. Però entro in riserva ovviamente in cinque minuti, e mi fermo a fare benzina. A questo punto una domanda: perché in Italia non c’è la 102 ottani? Ci fermiamo alla 98. Onestamente, la differenza si sente, se si ha una moto con un motore vecchio tipo a carburatori. I consumi non sono male, ma devo stare attento con la manetta… questa moto, se fai troppo lo spiritoso, ti succhia anche l’anima. E siccome in questa zona i distributori scarseggiano, voglio evitare di restare a secco come un idiota incosciente.
Ore 17:30,
Raggiungo dolorante Prüm e Niederprüm, dopo qualche km di statale molto bella.
Prüm, la prima che incontro, è una cittadella molto carina, pulita, ordinata e dall’aria vagamente alcolica (ci sono più birrerie che banche e negozi di vestiti messi insieme). Niederprüm è la sua frazione, in cui si trova il museo-officina della Yamaha Vmax. In quasi 30 anni di esistenza, questo leggendario mezzo a due ruote è diventato mito anche grazie a quest’officina che si è contraddistinta, tra le tante altre sparse per il mondo, per l’originalità delle sue “creazioni” personalizzate e modificate all’inverosimile. Dopo un paio di minuti di chiacchiere con il titolare, me ne devo andare sennò a Tilburg non arrivo per sera. Gli accenno del problema avuto, mi dice “guarda che se ti è andata l’acqua nei carb, va risistemata la carburazione step-by-step mentre viaggi”. Mi sembra una verità accettabile, soprattutto per il fatto che la dice uno che le Vmax le conosce parecchio. Seguo il suo consiglio, fortunatamente ci so fare abbastanza e la moto l’ho sempre carburata io, quindi non è un problema seguire le sue indicazioni. Va già meglio e mi rimetto in marcia: Tilburg è ancora lontana, mancano 300 km e sono le 6.30 di sera.
Come previsto, in autostrada non c’è un’anima e io vado parecchio forte, la media è 150-160 che su una “custom” è una tortura e un invito a farsi male. Dovevo arrivare per forza di cose quella sera stessa, non erano concessi ulteriori ritardi.
Ore 21.30, Tilburg
Ci sono. Allo stesso tempo mi accorgo di trovarmi dalla parte sbagliata, a nord est invece che a sud ovest dove ho l’hotel. Tilburg non è grandissima, ma neanche un paesino di campagna: entro in camera alle 23 in punto. Nemmeno una doccia e mi dirigo nel pub sottostante. Servono ottima birra irlandese e inglese. Niente di meglio dopo due giorni così. Dopo un’oretta chiude e io finalmente vado a riposare, soddisfatto ma un po’ disturbato dalla disavventura, demoralizzato perché so già che questo scherzo mi impedirà di vedere tranquillamente per intero il festival, motivo per cui sono a Tilburg.
Dopo due giorni passati ad ascoltare musica dalle 16 a mezzanotte circa mi sento un po’ rinato, grazie anche al coffee shop The Grass Company; si mangia molto bene, si spende il giusto e si fuma di qualità (dal 1° Maggio non sarà più così). Mi ci vorrebbe il terzo giorno, Sabato, che è interessante e c’è una band che non ho mai visto dal vivo (gli Sleep)… devo rinunciare per esigenze di viaggio. So già che me ne pentirò per parecchio tempo, ma la necessità di essere a casa entro domenica sera incombe. Lunedì si lavora e, pare, sarà una settimana impegnativa… devo darmi una regolata e riprendermi dalla botta del ritorno, avere il tempo di recuperare. Un’ultima sosta al coffee shop per la buonanotte e poi si torna in albergo. Mentre, seduto al tavolo del coffee shop davanti ad una tazza di thè fumante, mi accendo l’ultima, penso che però ho visto delle band molto interessanti e alcune leggendarie, come i Voivod, e posso ritenermi dunque soddisfatto e contento, felice che (quasi) tutto sia andato per il verso giusto sinora, quindi perché lamentarsi?
Sabato, ore 00.50
Preparo tutti i bagagli e sistemo la moto. Mentalmente non sono apposto: stanco, assonnato e decisamente stordito, mi fischiano le orecchie e mi fa male tutto. Finiti i preparativi, un bel bagno caldo mi rimette in sesto e riesco a dormire quelle 5 ore, giusto il necessario.
Ore 9.30
Dopo un’imponente colazione faccio il check-out e me ne vado. Un vero peccato, penso di nuovo. Mi renderò conto solo la sera che ho fatto la scelta giusta: non sarei mai riuscito a farcela in un giorno solo con quelle condizioni climatiche.

Il percorso prevede: Tilburg-Eindhoven-Maastricht-Liege (Luik) in Belgio-Lussemburgo-Strasburgo dove in teoria vorrei fermarmi.

Ore 10.30, Maastricht
Entro in Belgio, attraverso la città di Maastricht. Famosa per essere un antico borgo romano sul fiume Maas (tricht, in latino traiectum, indicava l’itinerario per superare il fiume) e per essere stata il 7/2/92 la sede in cui si è firmato il Trattato di Maastricht, questa città mi ha sempre affascinato. Il tempo fa talmente schifo che però non vale la pena di fermarsi per un paio di foto al borgo del centro città, di cui tutti menzionano bellezza ed eleganza. Non posso nemmeno godere della vitalità e cortesia dei suoi abitanti, caratteristiche famose in tutti i Paesi Bassi e per le quali questa antica città (una delle prime d’Olanda) va fiera. Appunto il cattivo tempo non mi permette soste di piacere. Proseguo sull’autostrada in compagnia di nuvole sempre più minacciose.

Ore 14.00
Arrivo senza difficoltà in Lussemburgo ma solo dopo aver incontrato, nell’ordine: traffico arrogante della domenica tra Olanda e Belgio e tempo pessimo tra Belgio e Lussemburgo (nevischio e grandine, non mi faccio mancare nulla io!). Una sosta inutile per il pranzo mi regala una nuova caduta della moto, grazie ad un imbranato che l’ha centrata in retromarcia durante una manovra per uscire dal parcheggio. Il fenomeno guida una BMW M6 (autogrande:cervellopiccolo=autopiccola:cervellogrande è l’equazione valida in ogni angolo del pianeta). Meno male che non s’è fatta niente di niente. Di nuovo, che moto fantastica. E che culo! Me ne vado sennò lo picchio davanti a tutti.
 
La strada si fa piacevolmente scorrevole, nonostante la pioggia incessante. Attraverso il confine e finalmente comincio a percorrere statali piacevoli, ha anche smesso di piovere e ne sono felicissimo, posso aprire il casco, respirare aria fresca, non rischiare più di finire a terra ogni volta che accarezzo il gas all’uscita delle curve… non è da poco! La statale D919 a sud di Metz, che porta a Strasburgo, è affascinante. Si attraversano paesini uno più bello dell’altro che mi fanno dimenticare l’antipatia che provo per la maggior parte dei Francesi che ho conosciuto; sì perché qui la gente, come tutte le persone che conducono una sana vita di campagna, è gentile e disponibile, un po’ rude e brusca nelle risposte, il che è piacevole per me. A Liéhon mi fermo per una breve pausa e mi metto a chiacchierare con un simpatico contadino che mi chiede che strana moto è quella… vaglielo a spiegare ad un francese di campagna che parla un inglese smozzicato e sdentato.





Mi indica una strada molto bella comunque, che si trova a una ventina di km da lì. Si chiama Route Forestière du Grand Pré e inizia così.


Per quanto io ami le strade imboscate, non mi sembra il caso di percorrerla con la Vmax, soprattutto in queste condizioni meteo. Perciò proseguo sulla D919, la principale, che non fa affatto schifo come si può notare.


Non esagero dicendo che ad ogni paese mi fermo ad ammirare gli angoli di vecchie case, a respirare l’aria di vecchia Francia e ad apprezzare brevemente lo scorrere lento della vita in questi minuscoli borghi, dove viene ancora apprezzata per le piccole cose. La frenesia delle grandi città poco prima attraversate questa gente non sa cos’è.
La D919 mi porta a Sarrebourg, e diventa un serpente con le gobbe. Fantastica. Va avanti così per circa 7-8 km.


La percorro tutta fino a Sarrebourg, che non è niente di speciale. Da lì imbocco la N4, o la D1004 che dir si voglia. A questo punto mi serve benzina; la Vmax per me è la moto della vita e ha un unico difetto (non sarebbe perfetta, altrimenti): serbatoio troppo piccolo. Dodici litri e mezzo riserva compresa non sono sufficienti a mandare avanti un 1.200 V4 16 valvole sovralimentato; bastano per poco meno di duecento km se si mantiene un’andatura tranquilla. Trovo un Esso e una magnifica super 102 ottani che costa meno della Super 98 in Italia.
Ore 18.30
Quando arrivo a Strasburgo preferisco evitare di perdermi in città, mi dirigo verso la zona dell’estrema periferia sud dove abbondano Holiday Inn, Best Western, motel di strada ad ore (tutti pieni!) etc. Trovo un’interessante camera al Premiere Classe, costa 34 euro a notte colazione esclusa (6€). Ovviamente della lingua Inglese manco l’ombra, arranco sul bancone della receptionist qualche parola e a fatica mi faccio ascoltare. È veramente antipatica, penso, mi squadra e mi risponde a monosillabi, ma ottengo la stanza. Chiedo come funziona il riscaldamento ‘che ho un freddo cane, sono umido, e il posto è tipo un monastero feudale. Devo rinunciare a capire per disperazione, e ancora non ho ben compreso a quale termostato facesse riferimento la ragazza, mai trovato. La stanza misura 3x3, una cella praticamente, con il bagno che sembra sia stato staccato dall’interno di un camper e piazzato in camera alla meglio… la doccia è stata un’impresa di contorsionismo. Che fosse davvero un ex convento? Però avevo un TV LCD 50” appeso alla parete: caspita se sono cose importanti!

Ore 21.00
Per cena mi sono dovuto fare 3km a piedi ad andare e 3 a tornare, e quella bistecca mangiata alla periferia sud di Strasburgo mi è sembrata la migliore mai mangiata. Me ne torno in stanza perché fuori c’è un’aria gelida che taglia le gambe. Mi sistemo e mi accendo l’ultimo ricordino del coffee shop di Tilburg, pensando ai miei amici: in questo momento stanno vedendo gli Sleep, altro gruppo per me importantissimo e veramente potente! Loro avranno l’aereo tra due giorni, con tutta calma e abbastanza riposati, mentre io mi sento un po’ triste, malinconico (è la “Roadburn Sindrome”, tutto normale) e allo stesso tempo super fortunato perché questo viaggio non sta andando per niente male! Sto facendo un’avventura dopotutto, e il concerto era la ciliegina sulla torta. Due intense passioni che si incontrano nello stesso viaggio? Sembra un sogno… altro che incubo. E dopo averlo spento nel posacenere improvvisato con la tazza del gabinetto, mi spengo anche io e finalmente dormo sereno.
Domenica, ore 7.00, Strasbourg
Mi sveglio e salto su come una molla. Sono sudato perché il piumino (sintetico) non mi fa respirare, e l’impatto con l’aria fredda del mattino mi dà una bella botta. Adoro lavarmi con l’acqua gelida al mattino, e dopo 2 secondi sono in piena forma. Guardo fuori dalla finestra, e si smorza l’entusiasmo. Piove più di ieri, fa più freddo e c’è vento, pure. Faccio finta di non aver guardato, spallucce e vado a fare colazione. Ci tengo a precisare che per tutto il tempo che sono stato in Olanda non ho mai guardato nemmeno per cinque secondi le previsioni del tempo: ogni cosa a suo tempo e alle condizioni meteo ci penso quando mi devo mettere in viaggio.
Ore 8.00
Sono già per strada, percorro le strade fuori Strasburgo come un automa con la mappa stampata nel cervello. Finché non arrivo al confine attraverso un gigantesco ponte sul Reno, un tratto della statale 98 che diventerà, da Offenburg, la 33 tedesca. Da qui si hanno diverse scelte, tutte buone. Quella che prendo sul momento si rivelerà un colpo da maestro e mi rasserenerà la giornata in crescendo. La 33 infatti mi porta a Lahr, e poi devo proseguire verso Shiltach, successivamente a sud verso Villingen. La D500, famoso itinerario attraversato da tutti i motorrader almeno una volta nella vita, passa dentro la Foresta Nera, ed è meravigliosa. Talmente bella che purtroppo mi sono completamente dimenticato di tenere la macchina fotografica a portata di mano, viaggiavo con la testa tra le nuvole… una strada così mi capiterà pochissime altre volte di farla. Una vera goduria quelle curve, quegli scorci di paesaggio tra gli alberi, quei cimiteri nei piccoli borghi…


Ore 12.00, Basel
Sono in Svizzera. Il tempo è veramente uno schifo, è peggiorato tantissimo e oltre ad una pioggia infame c’è anche un vento figlio di sua madre. Tengo duro più che posso ma poi mi devo fermare in una stazione di servizio, perlomeno a scaldarmi un po’ le mani sotto l’acqua calda e per bisogni fisiologici (col freddo si “tiene” meno… ). Faccio una terza colazione (la prima in Francia, la seconda in Germania e la terza in Svizzera per una qualche logica che lì sul momento mi sfugge) e ora sì che ci siamo: maltempo, sei mio!

Passato questo scoglio, entro nel tunnel del Gottardo, e l’aria di metropolitana, calda e puzzolente di gas di scarico, mi asciuga e mi riporta ad una temperatura corporea umana.
Dopo il tunnel la Svizzera ha vita breve, sono a Chiasso in un attimo e di qui a casa la strada è breve, Milano è dietro l’angolo.
Entro in casa alle 15, sono abbastanza stanco ma pensavo peggio. Me ne vado a dormire un po’ ripensando all’avventura e alla soddisfazione di poter dire un giorno che un’avventura fatta per inseguire le proprie passioni è vita. La passione è vita, perché la vita è fatta di passioni.