lunedì 22 maggio 2006

The Dark Side Of The Moon è il più bel disco rock di sempre.

Per un sacco di anni mi sono chiesto quale sia il disco più bello del mondo. Parecchie volte ho girato la domanda ad amici che come me, sono grandi appassionati di musica; alcuni di loro conoscono talmente tanti dischi da essere in grado di trovare assonanze tra generi musicali all’apparenza diametralmente opposti. Le risposte ovviamente sono tra le più disparate e quella che sento di più è: “Dipende”. Ed è vero! Dopo mesi (inconsciamente, anni… ) di riflessioni, congetture, teorie e ascolti -variegati e più o meno appezzi- sono, credo (forse), giunto alla conclusione che parlare di musica in termini di oggettività ha senso. Siamo d’accordo che il gusto e il piacere provati nell’ascoltare un disco siano assolutamente soggettivi; non si possono però ignorare gli aspetti oggettivi -i parametri puramente tecnici e artistici- di un disco di rilevante importanza storica come questo per l’appunto.

Mentre lo ascoltavo per la centomilionesima volta, The Dark Side Of The Moon ha evidenziato maggiormente proprio gli aspetti oggettivi rispetto alle emozioni scatenate in me ad ogni ascolto precedente, che sono di mia esclusiva proprietà. Come molti prima di me hanno già capito, questo non è solo un bellissimo disco di musica rock e psichedelia; innanzitutto, perché già dal 1972 i Pink Floyd si stavano allontanando dagli schemi rigidi della psichedelia, adottata fino a quel tempo: in TDSOTM le divagazioni strumentali e la psichedelia hanno un collegamento diretto con la musica e gli argomenti dei testi delle canzoni a tal punto che i suoni stessi usati negli effetti rappresentano il concetto dei temi trattati nel disco. Prima del 1973 coi PF di The Piper At The Gates Of Dawn o –peggio– di Umma Gumma, ti ritrovavi nel bel mezzo di dieci minuti di divagazioni soniche, folli e a rischio infarto senza sapere come ci eri finito e dove stavi andando. Nel “disco del prisma” probabilmente la band voleva creare qualcosa di diverso, con mille suoni tutti perfettamente integrati; un disco che non stimolasse solo delle visioni su base psichedelica, sostanzialmente senza riferimenti particolari. C’era l’assurda pretesa di poter costruire un insieme fatto di connessioni “sonico-mentali”, immagini semplici e d’effetto unite a suoni strepitosi, tutto interlacciato in un modo ben preciso e sequenziale. Forse è proprio questo che rende TDSOTM il disco più bello del mondo; il perfetto bilanciamento tra psichedelia e musica: 1. quando la divagazione termina ritrovi sempre la strada che avevi lasciato e 2. la parte non prettamente musicale è breve e mai troppo alienante. Il rischio infarto resta, quello sì.

Forse è il miglior disco di sempre perché la combinazione tra la grafica di copertina e la musica è azzeccata in pieno. Oppure perché il solo di voce in The Great Gig In The Sky è senza ombra di dubbio uno dei più belli, intensi, coinvolgenti ed emozionanti mai sentiti, capace di stimolare forti emozioni, sino ad un potente coinvolgimento fisico. O perché le chitarre, energiche e delicate, sono bene accompagnate da tastiere e pianoforte, sempre presenti ma mai invadenti. Sicuramente tutte queste qualità nel loro insieme contribuiscono, così come i solo di chitarra memorabili, orecchiabili e mai scontati o commerciali si fondono alla perfezione con le ritmiche e la psichedelia. Tutto questo scollega la canzone dall’immaginario collettivo del pezzo rock standard (intro quando c’è → strofa → ritornello → strofa → ritornello → solo → strofa → ritornello → solo finale → outro quando c’è), anche perché in TDSOTM non c’è un vero e proprio finale, nelle canzoni; tutte si susseguono senza interruzioni (tranne quando si deve girare il vinile sul piatto –con il cd questo “problema” non esiste e si può godere appieno della continuità del lavoro). E poi, grazie all’infinita varietà di suoni e frequenze mescolata con l’eccezionale qualità audio, potrebbe benissimo essere il disco ideale per collaudare gli impianti hi-fi; è d’obbligo sottolineare che Alan Parson è il responsabile dei suoni.

TDSOTM è rimasto in classifica più a lungo di tutti, senza alcun rivale: per quattordici anni ai primi posti della Billboard Top 200 e dopo vent’anni –grazie alla Twentieth Anniversary Edition con differente copertina (una foto anziché una illustrazione, curata dal loro storico foto-designer Storm Thorgerson di cui segnalo l’essenziale libro VISIONI, grazie Fede&Sandro!)– tornato al numero uno. Ha venduto circa 34 milioni di copie, più altri due grazie all’edizione per i venti anni, e altri “qualche milione” con l’edizione per i trent’anni in SACD (Super Audio CD). Micacazzi. Lasciamo da parte le grane che già dalla seconda metà degli anni ’70 stavano minando l’integrità della band, le droghe che forse incominciavano a dare i loro frutti sulla psiche di alcuni (Syd Barrett; le prime brutte esperienze giunsero già alla fine dei ’60, dal ‘72 si allontanò dai PF anche se partecipò ad alcune registrazioni –segrete– per TDSOTM, finendo per separarsi in maniera definitiva dalla band verso la fine del 1974 e isolandosi dal mondo pochi mesi più tardi, a causa di gravi disturbi psichici causati da problemi personali e da dosi massicce di LSD. Fu dichiarato scomparso –e morto?– nel 1994), i soldi che avevano già iniziato a minare l’amicizia tra i componenti del gruppo, e tante altre faccende meno note… Insomma, detto questo, i Pink Floyd restano uno dei gruppi più amati del pianeta per maggior tempo. La maggior parte di quelli che adorano i Pink Floyd sperano e chiamano una loro reunion da anni; personalmente spero non avvenga mai, avendo visto com’erano conciati al Live8.

Prima di argomentare i perché secondo me “ The Dark Side…” sia il più bel disco mai scritto, aggiungo che questo è uno dei migliori da ascoltare sotto l’effetto di droghe. Non che sia strettanente necessario ma, si sa che il THC è un ottimo amplificatore di sensazioni. Ascoltare TDSOTM ad alto volume dopo aver fumato è una delle esperienze più coinvolgenti in musica: nessun momento allucinante scatenato da minuti psichedelici selvaggi e folli, niente paranoie da trip; solo emozioni e piacere nell’ascoltare splendidi suoni, e affrontare viaggi infinitamente belli. Il rischio infarto è sempre dietro l’angolo, ci tengo a ricordarlo. Sono convinto del fatto che questo disco (come moltissimi altri dei PF) sia stato scritto con l’aiuto di droghe; pensiamo al momento in cui si svolge la scena rock/psichedelia e al luogo: prima metà degli anni ‘70, Londra (luogo culto della sperimentazione musicale e non, da almeno dieci anni a quella parte). I PF stanno lì, suonano rock psichedelico. Ma non “suonano” e basta: loro immaginano, viaggiano, disegnano, scrivono, sperimentano con suoni e strumenti (vedere il DVD Live At Pompeii per credere –peraltro molto interessante in quanto contenente parte delle registrazioni in studio di TDSOTM), le immagini e gli effetti di luci che li seguono nelle esibizioni live sono stravolgenti, in combinazione con la loro musica. Tutto questo non può essere solo frutto della geniale creatività di un gruppo di persone; per quanta passione, interesse, conoscenza e impegno possano averci messo, la storia di ogni grande musicista dimostra che durante il passaggio attraverso il periodo più creativo e prolifico, tutti hanno fatto uso di droghe almeno per un po’ di tempo. Al di là di questa ultima considerazione, il fatto che TDSOTM sia stato scritto col cervello sfranto è una mia opinione, si capisce; ma nessuno riuscirà a togliermela dalla testa.

Perché ha la migliore combinazione tra copertina e musiche? Esaminando bene l’illustrazione di front cover si nota come essa sia davvero geniale nella sua semplicità: non ci sono foto ad alta risoluzione, effetti fotografici, sovrapposizioni o sofisticherie aliene; è praticamente un disegno, solo in seguito rielaborato fotograficamente per delineare meglio i contorni, di un prisma che assorbe un fascio di luce bianca e la rilancia dal suo lato opposto e nascosto rifrangendola scomposta nei colori fondamentali, risultato della risposta in frequenza della luce. Il colore non è altro che il risultato di un filtro –un qualunque oggetto investito dalla luce– che assorbe determinate frequenze e ne restituisce altre. I nostri occhi ricevono dunque lunghezze d’onda diverse poi elaborate dai cristallini e dai coni dell’iride; il cervello percepisce solo colori diversi, gli arriva cioè il risultato finale del filtraggio. Questo è un motivo in più per considerare in modo concettuale anche la copertina: vedere un solo colore non suscita interesse prolungato ma un’intera gamma di colori riesce ad incantare per minuti interi. Stesso concetto per i suoni nel disco). Ma torniamo al disco; andando ancora più a fondo, la copertina non finisce mai: i raggi colorati proseguono sul retro e vanno a cacciarsi dentro un altro prisma, rovesciato, che ricombina i colori nel fascio bianco e via a seguire. La copertina interna fa proseguire i raggi luminosi come una specie di risposta di un elettrocardiogramma, ricomponendosi all’interno di un altro prisma. Da questo vengono nuovamente sparati in un fascio bianco che entrerà a sua volta nel prisma della copertina frontale, tornando al punto di partenza. Questa è l’evidente connessione alla musica di cui si parlava poco sopra: la continuità tra una traccia e l’altra, senza interruzioni, viene rappresentata da luce bianca → prisma → luce colorata → prisma → luce bianca e così via. I battiti cardiaci dell’intro in Speak To Me – Breathe In The Air (e ripresi nel finale di Brain Damage) sono raffigurati dalla risposta dell’ECG colorato presente nella copertina interna. Altra assonanza: la luce bianca che esplode nel fascio multicolore raffigura l’evoluzione in crescendo dell’intensità (emotiva e fisica) della musica: da semplici note (il raggio bianco) si entra in un insieme musicale dalle molteplici sfumature (l’arcobaleno). Un’ultima cosa, una breve curiosità a proposito della copertina: tra le innumerevoli, la versione russa è una chicca (si tratta dell’elaborazione a mano di una foto ad un vero prisma mentre rifrange la luce, in laboratorio), ma ovviamente non gliene frega un cazzo a nessuno.

Perché avrebbe il giusto bilanciamento tra rock e psichedelia? Nel 1969 un disco da bruciati segnò l’epoca della psichedelia e per certi versi la sua morte, dal momento che oltre quel punto sembrava impossibile proseguire: era Umma Gumma. Altri dischi dei Pink Floyd sono psichedelici, invero ricordiamo molto bene The Piper At The Gates Of Dawn le cui Pow R. TOC H. e ancora di più Interstellar Overdrive, sono in grado ancora oggi di farci fare pericolosi viaggi ad altezze vertiginose ma sono lontani, dalle evoluzioni spaziali di UG. Nel 1973 arriva TDSOTM e tutto cambia: non più quella psichedelia cosmica e un po’ fine a se stessa, sostanzialmente priva di collegamenti visivi con il resto dell’opera musicale. Come già affermato precedentemente, nella nuova esperienza ogni secondo che si allontana dalla musica in quanto tale –e si avvicina a ciò che può essere chiamato “psichedelia” (gli orologi e le sveglie in Time, le tastiere “effettate” di On The Run, i battiti cardiaci di Speak to Me – Breathe In Air)– è in linea con il tema della canzone, e quindi con le musiche stesse. Un altro punto a favore è la durata degli esperimenti sonori; la psichedelia in questo può essere un’arma a doppio taglio: se si insiste troppo sul tasto dell’effetto si rischia di risultare noiosi o peggio, banali e senza fantasia, ripetitivi. In quest’opera nulla dura troppo o troppo poco, i tempi sono calcolati esattamente per lo scopo e niente di più. Ultimo ma non per importanza: la qualità audio! La psichedelia è un rischio anche quando l’audio non è bilanciato alla perfezione: si rischia di incorrere nel brutto effetto che un suono si senta di più o non si senta affatto se non a volumi pazzeschi. La catastrofe è quando l’effetto psichedelico risulta del tutto nullo, essendo presenti tuttavia sia suoni che effetti. L’integrazione tra musica e psichedelia nella giusta misura sembra essere un requisito fondamentale; i Pink Floyd con The Dark Side Of The Moon l’hanno soddisfatto in pieno, anzi meglio dire che i Pink Floyd con Alan Parson hanno centrato l’obiettivo. Non ci riuscirono nella stessa misura, anche se molto avanti per l’epoca, su Umma Gumma: originariamente registrato in Mono e, solo successivi anni dopo, rielaborato in stereofonia, non riuscì a rendere vera giustizia al suo lato “viaggioso”; esistono anche alcune versioni in quadrifonia, tecnologia di settantiana derivazione e oggi quasi completamente dismessa. Forse anche perché non c’era Alan Parson a curare i suoni.

Perché è perfetto dal punto di vista del songwriting? Come ho già tentato di spiegare prima, in TDSOTM tutto è collegato; e la musica è allacciata ai testi. Credo che questo sia il primo disco in cui Roger Waters abbia iniziato a parlare di follia, di conseguenza la band ha agito secondo il suo impulso, associando una musica perfettamente rappresentativa. Vuoi per la storicità dei pezzi, ormai entrati nel DNA di molti; vuoi per la inscindibilità delle tracce del disco; vuoi anche per il fatto che le canzoni stesse non hanno –già detto prima– una struttura classica, una forma stabilita a tavolino… insomma pare proprio che l’intero disco sia una sola canzone con tanti capitoli, paragrafi, note e divagazioni; come un libro. Eccezionalmente, sono riusciti a trasformare semplici melodie in pezzi di storia musicale –come la magnifica Brain Damage ad esempio­– e di diretto impatto già al primo ascolto. Indica una elevata sensibilità musicale in grado di cogliere gli aspetti pop della musica e inserirli in un contesto per niente commerciale. Se non è questo un motivo valido per considerare grande un disco, qual è allora?
Alla fine di tutta questa sbatta, resta una considerazione che potrebbe rendere nullo tutto il ragionamento: molti amano a tal punto un disco (o una sola canzone) fino ad identificarsi in esso; personalmente non so se mi identifico in maniera integrale nel disco qui citato, ma di sicuro è il mio preferito di sempre, non essendo i Pink Floyd la mia band preferita (paradossale? Mica poi tanto… ). Non so se a livello teorico il discorso fatto finora decada al punto da considerare per ognuno di noi un disco preferito al di sopra di tutti gli altri solo in base all’identificazione con esso o ai gusti personali. Bisogna riuscire ad inquadrare i lati oggettivi e tecnici, quelli che tutti possono notare; dunque si ritorna al punto di partenza… The Dark Side Of The Moon è il miglior disco rock di sempre?

mercoledì 17 maggio 2006

ASCOLTI DI GIORNO

Da stamattina girano alcuni dischi sul mio piccì...

CINEMATIC ORCHESTRA - Motion (1999)
Overdose da psichedelia elettronica. Possibile?

HERBIE HANCOCK - Takin' Off (1962)
Quando il jazz decolla... è l'atterraggio che preoccupa.

ISIS - Panopticon (2004)
Cristallino e velato insieme, vertiginosamente alto e abissalmente profondo, essenziale e complesso. Con chitarre da una tonnellata. Aaron Turner m'è sempre piaciuto.

TOM WAITS - Beautiful Maladies, The Island Years (Anthology 1998)
Come si fa a trascorrere una giornata senza aver ascoltato almeno UN PEZZO di Tom Waits? Infatti non si può. "Hang on St. Christopher", "Underground", "Sixteen Shells From A Thirty-Ought Six", "Jockey Full Of Bourbon"... ma c'è qualcuno che mi parla nelle orecchie...

NEUROSIS - Times Of Grace (1999)
E speriamo che il mondo non finisca proprio adesso...

CAN - Ege Bamyasi (1972)
Una latta piena di suoni incredibili. Ma una latta TANTA!!

ZEN GUERRILLA - Shadows On The Sun
Apprezzati troppo tardi (2001), ma sono sempre con me ovunque vada. Punk/rock con profonde radici nel blues, cantato con influenze gospel. Figo, energico, movimentato, ballabile, cantabile, palestrabile, biciclettabile: ci puoi fare il cazzo che vuoi coi dischi degli Zen Guerrilla! Peccato che sia dal 2001 che non fanno un disco...

martedì 16 maggio 2006

AH, L'AMOUR, L'AMOUR... !

Love e i suoi (stretti) confini

giovedì 11 maggio 2006

MARISCOS, CERVEZA Y GAYNA

A distanza di una semana e mezza sto qui a pensare al fantastico e appezzissimo weekend trascorso a Madrid a casa di un amico, aka Mesié. Eravamo in tre, il quarto s’è aggiunto la sera del Venerdì ma poi ci arrivo con calma: Capazzi, Siegheil e il sottoscritto.

Venerdì 28 Aprile. Il giorno della partenza ci troviamo in Cadorna (stazione Ferrovie Nord di Milano) → Aeroporto Malpensa. Il volo era in programma per le 11:20 ma, data la coda di persone in piedi ad aspettare per l’imbarco già mezz’ora prima (curiosi i viaggiatori medi: invece di svaccarsi sulle poltroncine, si piazzano in fila come se qualcuno gli passasse davanti per soffiargli il posto), dato l’orario spostati in avanti di almeno 20 dannati minuti, Sigàl ha la giusta idea di farci una birra, ovviamente una Tennent’s (ringraziando il buon Satana, in bottiglia). Ancora dieci minuti e siamo finalmente a bordo.
Le hostess sono pazzesche, fasciate nei loro casti eppur sensuali vestiti rosso fuoco, lunghi al ginocchio con spacco fino all’alta coscia, abbottonati sul collo con apertura fino all’incrocio dei seni: bastardo chi ha disegnato quegli abiti.
Cerchiamo di darci un tono e parte la seconda birra della giornata; è ancora mezzogiorno, troppo tardi per restare seri.
Nel frattempo il bimbo seduto davanti a noi inizia a lanciarci tovaglioli, prenderci per il culo nel suo incomprensibile linguaggio... insomma faceva il bambino, cos’altro poteva fare?! Era divertente ma i genitori, due fighetti, poco d’accordo lo sgridano di continuo e gli danno del cretino perché gioca con i tasti per chiamare le hostess… a noi stava facendo un gran favore perché era sempre e comunque un belvedere; evidentemente i genitori non si possono scegliere. Simpatico il tipetto però, diventerà un gran bastardo di sicuro!
Si arriva finalmente a Madrid e, dopo circa 250Km di metropolitana arriviamo in Puerta del Sol, ed eccoci la faccia di culo del Mesié ad accoglierci calorosamente. Ci dirigiamo subito all’hostal Faustino (una stella, ma davvero pettinato), sito nel centro storico di Madrid a neanche 500mt da Puerta del Sol e a due minuti a piedi da un qualsiasi posto in cui mangiare e bere.

Appena sistemati ce ne usciamo a far gayna e dopo qualche birra (svariate) e joint venture in piazzette piuttosto movimentate, ci dirigiamo verso la movida madrilena, famosa nel mondo per l’abitudine a tirar tardi. Ora che ci penso, non mi pare di aver mai visto in giro (a parte Barcellona, la quale in ogni caso non raggiunge quei livelli di vita notturna essendo una città votata più alla vita di mare) famiglie con bimbi al seguito in giro alle 2 di notte…
Il Mesié/Cicerone ci porta alla famosa Marisqueria (nome sull’insegna assente, c’è solo scritto “pescheria” ebbellalì -si vede dalla foto): si mangiano gamberi, scampi, mazzancolle, granchi, gamberi, scampi, mazzancolle, granchi, gamb… aemm beh lì dentro si mangia solo questo. Per il momento siamo solo in quattro, il quinto fenomeno (Pistacchio) ci raggiungerà verso le 23 arrivando da Valencia, dove vive.

Perché aspettare tanto? Noi schifosi porci ci spazziamo 3 vassoi da circa 1kgemmezzo l'uno di gamberi, scampi, mazzancol… vabbè, quello. E tanto vino. Oltre la birra di prima, si capisce. Eravamo un po’ distrutti ma pienamente in forma. Incontrammo un solo problema: le famigerate Allucinazioni Da Gambero, note in tutto il mondo come fantastiche visioni bicolori (rosso e bianco, dal gambero) circondate da movimenti acquei e parola sbiascicata. All’arrivo del quinto fetente ci spazziamo un altro vassoio e il cervello e l'oracolo so’ felici. All’indecente prezzo di nemmeno venti soldi a testa ci è parso un buon compromesso per spazzarci ancora un paio di birre prima di dirigerci verso l’hostal.
Quest’ultimo ha quel non-so-che di curioso: il proprietario ci fornisce la chiave d’ingresso per il portone sottostante, per la porta della camera ma NON per quella d’ingresso all’ostello. Quindi lo sfigato si deve alzare ogniqualvolta un emerito stronzo ubriaco si presenta alla porta d’ingresso per entrare. Beh problemi suoi, noi siamo stati fin troppo gentlemen a non presentarci a rate alla porta tipo io alle 2, l’altro alle 2.30 e l’ultimo alle 3… troppa sbatta, ma sarebbe stato divertente.
A breve per la seconda puntata, cioè la giornata di Sabato 29 Aprile.

martedì 9 maggio 2006

SE SEI STUPIDO TI SPOSI

A quanto si legge dall'articolo del link evidenziato nel titolo, se una donna ha un alto QI tende a sposarsi di meno.
Evidentemente la gnoccazzona Sharon Stone (48) che s'è sposata 3 volte ha barato sul suo test del QI, dato che le è stato riscontrato un pesante 154, quasi al livello di Albert Einstein, Enrico Fermi e altri luminari della scienza, nonché del mai troppo compianto scrittore-criminale Edward Bunker, anche lui oltre i 150 punti (e anche lui s'è sposato, anche se al campanello dei passati 60, ma che volete dopo 37 anni passati ad entrare e uscire di galera).

Quindi Sharon Stone è stupida e gnocca, teoria/speranza appoggiata dalla stragrande maggioranza dei maschi porci arrapati?

lunedì 8 maggio 2006

PHIL ANSELMO:ALICE IN CHAINS=PASTA:POMODORO

Se andate a leggervi l'articolo del link (voglia di copy&paste=0) scoprirete quanto possa avere ragione l'equazione del titolo; cioè che Philip Hansen Anselmo (ex-Pantera / Down / Viking Crown / Superjoint Ritual / Iommi / House Of Pain) STA agli Alice In Chains COME la pastasciutta STA al pomodoro. Non s'è capito? Immaginavo...

Ripercorriamo un paio di passi:
1. il cantante (ex) degli AIC, Layne Staley, nel 2002 viene trovato morto nel suo appartamento dopo diversi giorni di ricerche, in stato iniziale di decomposizione, per una sospetta overdose di eroina (anche se nessuno riuscì mai a dimostrare come gli fu possibile iniettarsi tanta eroina in un colpo solo dato che superava, e di molto, i limiti definiti comunemente come overdose - NdA). Aveva una splendida voce e riusciva perfettamente ad inserirla nelle linee melodiche della band; per non parlare delle bellissime liriche che era in grado di comporre.

2. Philip Hansen Anselmo, famoso per la sua militanza nei Pantera, ha anch'egli una gran voce, forse ancora più duttile dello scomparso Layne, se riusciamo a tener presente l'uso che ne ha fatto nei Down o con Tony Iommi. Nel 1996 fu dato clinicamente morto per quasi 20 minuti, in seguito ad una potentissima dose di eroina, poi ripreso, ha -a suo dire- abbandonato l'idea di autodistruzione per dedicarsi anima e corpo alla musica. In un certo senso, è risorto. Ha collaborato con un sacco di musicisti, è proprietario della House Of Shock in Jefferson, LA, è promotore di un bel po' di gayna in quel di New Orleans, sempre LA, ed uno dei personaggi più coerenti, coraggiosi, pericolosi e sfacciati del mondo del metal.
Nonché -forse- il più conosciuto a livello mondiale.

Quindi l'equazione di cui sopra.

Inoltre Phil Anselmo è molto simile a Layne Staley come immagine trasmessa (ma anche reale) nel mondo della musica:
1. entrambi strafattissimi di droghe
2. entrambi cantanti eccezionalmente dotati
3. entrambi scrittori di testi di alto livello sia incazzati sia malinconici
4 entrambi hanno dato, alle band in cui hanno partecipato, notorietà altrimenti probabilmente irraggiungibile
5 entrambi hanno avuto un'infanzia allucinante

Qui il video in cui Phil Anselmo performa il pezzo "Would?" con il resto degli AIC

Detto questo, personalmente sarei felice di avere Phil Anselmo negli Alice In Chains, anche se la reunion di questi ultimi senza Layne mi disturba non poco, al di là del fatto che le reunion mi sono sempre state in culo.

mercoledì 3 maggio 2006

ROMANZO CRIMINALE


Oggi ho voglia di parlare di un film italiano, bellissimo, e a suo modo triste e spietato, quasi malinconico. Romanzo Criminale prende vita dall’omonimo libro di Giancarlo de Cataldo (Giudice presso la Corte d’Assise e sceneggiatore, scrittore di testi teatrali e traduttore) e rappresenta una delle pagine più cruente della storia dell’Italia degli anni ’70. La regia è del grande Michele Placido, la sceneggiatura dello stesso scrittore, che ha improntato il libro già in modo da poter essere facilmente ricostruito in modo cinematografico, probabilmente senza pensarci troppo, grazie alla sua abilità nel costruire storie e personaggi in un modo naturalmente “moviesco”.

Roma, metà degli anni ’70. Ragazzini su un’auto rubata sfondano un posto di blocco dei Carabinieri e vengono inseguiti. Si nascondono, vengono trovati, malmenati dai Carabinieri (ad uno di loro viene fratturata una gamba), gettati in un carcere minorile e lì, trasformati in veri criminali. Erano amici da sempre, veri amici. E la gang criminale più spietata che l’Italia ricordi: la famosa “banda della magliana”.
Lo scopo del film (e del libro) non è fare sensazione, giustizia o vendetta; si raccontano invece le vite vissute e sprecate di giovani intelligenti, a loro modo geniali nel vedere le cose e in grado di organizzarsi a dovere in nome di un’amicizia che non muore nemmeno davanti al tradimento (beh, quasi… ).
“Libanese” (Pierfrancesco Favino) è il personaggio di punta del gruppo di gangster che ha un’idea: impadronirsi di Roma. Non nel senso letterale del termine; lui vuole a tutti i costi essere potente, avere il controllo su tutto ciò che lo circonda di buono e di malvagio, trasformandosi in un assassino con pochi scrupoli. Il resto degli amici, “Dandi” (Claudio Santamaria), “Terribile” (Massimo Popolizio), “Sorcio” (Elio Germano), “Nero” (Riccardo Scamarcio, uno dei volti più interessanti e affascinanti del cinema italiano e attore di grande talento), “La Voce” (Toni Bertorelli) e “Il Freddo” (Kim Rossi Stuart), amico fraterno del Libanese, lo seguono come fidi destrieri, dando tutta l’anima in quello che si rivelerà un successo criminale senza eguali: dei ragazzini sbarbatelli che si trasformano in padroni assoluti del traffico di droga prima e del gioco d’azzardo e della prostituzione poi, diventando a pieno titolo i padroni indiscussi della malavita romana. In seguito il potere acceca alcuni e i primi tradimenti vengono fuori. Prima di tutto ciò, la dimostrazione che si fa sul serio è data dal rapimento del Barone Rosellini, ucciso dal Libanese ancora prima di accordarsi per il riscatto. Loro non vogliono soldi, vogliono fama, gloria e potere. Il commissario Scialoja (Stefano Accorsi) è l’unico che sembra accorgersi che la gang è davvero forte, superano l’immaginazione il traffico e i legami intrecciati con mafia, istituzioni politiche e altre gang. Per questo motivo decide di mettersi sulle tracce della donna del “Dandi”, Patrizia (interpretata dalla splendida Anna Mouglalis), la quale si innamora di lui che a sua volta cede alle irresistibili avances. In realtà lei è una prostituta, pagata dalla gang per fare silenzio e a cui viene regalata una megavilla da gestire come casa chiusa nell’ombra (e anche per deviare alcune piste degli investigatori). Si scatena a questo punto un gran disastro, viene citata anche la strage alla stazione di Bologna del 1980, con chiaro riferimento ai depistaggi per far apparire il tutto come un attentato politico. Finisce che il “Libanese” muore accoltellato per una vincita al poker troppo sostanziosa, sospetta e un battibecco di troppo con il tizio sbagliato (ma invidioso e talmente codardo da colpirlo alle spalle). “Dandi” perde completamente la testa per Patrizia e per la droga, e combina un guaio dopo l’altro. “Terribile” diventa a sua volta il leader della banda, ma è talmente incattivito da anni di guerra e carico di vendetta per la morte del “Libanese” che finisce a sua volta per restarci fregato. La gang non è più la terribile minaccia per la società che era una volta e il “Libanese” riposa in pace in una cripta inaccessibile in territorio Vaticano.
Nel bellissimo finale degno del miglior Pasolini, i ragazzini di una volta si rincorrono, al crepuscolo, e scoprono una vecchia auto scassata e incidentata, vicina ad una baracca dove anni addietro si nascosero dei ladri d’auto forse troppo giovani per le loro marachelle. Improvvisamente un flash e uno di loro ricorda tutto, “Ragazzi scappiamo! Di corsa, via di qui!” E si salvano, scappano da un futuro terribile per loro e l’Italia intera, salvando molte altre vite. Ma la storia non si cambia e resta il dubbio che criminali si nasca davvero: bisogna esserlo dentro. Pare, dal film e dal romanzo, che questi ragazzi fossero vittime di una società ingrata e spietata che non consente sbagli; bambini mascherati da criminali in cerca di una giustizia a loro negata, sin da quella notte sfrenata a bordo di un’auto rubata…